Basta un furto a gettare nel panico l’intero paese. Qualcuno ha rubato un orologio, non uno qualsiasi, ma quello della stazione ferroviaria, “Quello appeso sulla parete del primo binario” (p. 10).
Le cose dell´orologio di Mario Borghi (Rogas Edizioni, 2016, pp. 112, euro 11) prende le mosse da una sparizione misteriosa e dalla mobilitazione dei cittadini che si mettono subito alla ricerca dell’oggetto rubato. Al sindaco e al capostazione che conducono le indagini si contrappone l’eccentrica signorina Piccionetti, sempre pronta a organizzare “Veglie di preghiera, sit-in di protesta, serate danzanti e fiaccolate di silenzioso dispiacere oramai si ripetevano ogni giorno, e lei ne approfittava per corteggiare il maresciallo dei Carabinieri, scapolone incallito, che puntuale si presentava per assicurare il servizio d’ordine” (p. 21). Nonostante le rassicurazioni sulla sostituzione dell’orologio con uno nuovo, “La gente rivoleva quello di prima, quello che aveva segnato gran parte dei momenti della loro vita: ritardi e anticipi, arrivi e partenze, corse e pianti” (p. 21). Una sorta di attaccamento nostalgico al tempo che fu, ai ricordi del passato. E intanto un gruppo trasversale e poliedrico di ferrovieri, a cui aderiscono anche i componenti della banda musicale, è convinto che “con ogni probabilità, quell’aggeggio conteneva un microchip tramite il quale, per anni, tutti erano stati indebitamente sorvegliati” (p. 9).
Ma ci si accorge dell’importanza delle cose soltanto quando non ci sono più. Ad accorgersi di questa mancanza è una bambina, figlia di un ferroviere in un’altra stazione, che scrive persino una letterina al Presidente del Consiglio, e che sua madre vorrebbe portare in uno di quei talk-show televisivi dove gli indagati vengono trasformati in mostri da sbattere sulle prime pagine dei giornali. Mentre gli altri si affannano a risolvere il caso, nell’appartamento dell’insospettabile malvivente l’orologio è in compagnia di una cabina telefonica “rubata qualche tempo prima, sempre nei pressi della stazione ferroviaria” (p. 18). Il cleptomane lo osserva con curiosità, lo studia e poi lo apre, smontandolo completamente. L’unica a non rendersi conto di quelle strane presenze in casa è la stravagante Anna che “Puliva alla perfezione, rassettava, cantava, recitava e affidava ai palloncini i suoi pensieri. Era oltre l’oltre” (p. 74).
Poi uno scoppio, morti e feriti. La risposta a questa follia è contenuta in un’affermazione dell’altro delinquente, socio del ladro: “Tutto esiste per bilanciare il proprio esatto contrario, altrimenti saremmo come un raggio di luce nello spazio, che non illumina finché non trova un qualcosa contro cui sbattere” (p. 55).
Attraverso una trama apparentemente semplice e lineare Mario Borghi riesce, con ironia, a coinvolgere il lettore in questa commedia degli equivoci che si complica ogni volta che i sospetti passano da un personaggio all’altro. “Un vero psicodramma burocratico” (p. 11), al limite del grottesco, in cui non mancano riferimenti alla disoccupazione, al lavoro, allo studio e all’ignoranza.
Un romanzo esilarante, dai toni surreali, che filtra le manie e le fobie della società con il sensazionalismo della cronaca nera.
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