Là dove nasce la filosofia

by senzaudio

Sto preparando il pranzo. Apro il frigo, frugo, rimesto. Al solito non trovo nulla. Nel caso specifico, l’oggetto della mia disperata e insolubile ricerca sono i pomodorini.La ricerca prosegue. Nel mentre penso. Penso a questo articolo. Al tema da trattare. Al taglio da dare. All’autore da esaminare. Tutto assurge ad un’importanza fondamentale quando si intende parlare di filosofia. Ogni parola va studiata, pesata e ponderata. Ed ecco che prende vita una sterminata processione di volti e nomi. Platone o Socrate? Nietzsche o Hegel? Chi di questi è più adeguato per un articolo di esordio? Chi più atto a riscontrare l’interesse dei lettori? Arrovento la padella, tagliuzzo i pomodori e continuo a pensare. Ma finalmente balugina il lampo abbacinante dell’ispirazione e dirada la nebbia che si era posata sulla mia mente. Perchè sciorinare il pensiero di questo o quel filosofo, quando si può trattare della filosofia in quanto tale? Quando si può scavare fino a giungere alle radici della speculazione? Attenzione, non sto per fornire l’ennesima definizione affettata e pedissequa del termine, quanto piuttosto tentando di dare una risposta al quesito “perchè l’uomo filosofa?”. Domanda critica e impervia, che ben si presta a ovvietà e corbellerie, ma al contempo cruciale per comprendere e apprezzare il discorso filosofico nella sua essenza profonda.  Partiamo da una costatazione di fondo: siamo tutti filosofi. In tutti noi si cela il germe della filosofia. Poco importa se questo sia coltivato e fatto emergere, oppure sepolto dalla noncuranza e dall’ostinatezza per la praticità. C’è. E’ presente. Si percepisce. Infatti l’attività di pensiero sorge all’alba dell’umanità. Come l’arte e la cultura si presenta con le prime attestazioni di civiltà. La speculazione filosofica è il segno e il risultato della dimensione eccedente che caratterizza l’essere umano e che lo distingue dalla bestialità. L’uomo, perennemente in bilico tra cielo e terra, si spinge verso l’etere, verso lo sconosciuto. Ne è attratto e ammaliato. Attrazione acuita dalla meraviglia per le cose del mondo. Dal bagliore accecante della verità. Per usare la parole di Platone “il filosofo è un essere pieno di meraviglia”. La pentola fischia, il sugo sfrigola. E’ quasi pronto. Mi blocco con lo sguardo a mezz’aria e la bocca aperta. Rifletto. Amore e filosofia non so forse simili e addirittura uguali? Posseggono la medesima natura. Sono entrambi forze ascensionali. Pulsioni che ci portano verso l’alto, spingendoci ad aprirci verso l’alterità. Sono il palpito dell’infinito racchiuso nella finitezza umana. Bene, vi starete chiedendo, ma cosa vuol dire oggi filosofare? Che cosa vuol dire fare filosofia dopo la morte di tutti i sistemi metafisici e ontologici? Certo ” Dio è morto” e non è più possibile perpetrare lo stereotipo del filosofo legislatore tipico dei dogmatismi. Nessuno può, oggi, pretendere di istituire un sistema di pensiero alla maniera di Hegel o di Platone. La speculazione filosofica, tuttavia, non perde di significato, nè di senso. Fare filosofia oggi significa stare sempre all’erta. In continua vigilanza. Essere pesanti e goffi acrobati, fatalmente ancorati alla terra, ma pronti a librarsi verso le stelle.

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