Carbonio editore ha da poco pubblicato una seconda chicca di Arkadij e Boris Strugackij, e cioè il romanzo La città condannata, che segue a breve distanza un altro romanzo di fantascienza filosofica, La chiocciola sul pendio. Come è noto agli appassionati del genere, e direi a tutti gli amanti della grande letteratura, i fratelli Strugackij sono stati due grandi protagonisti della scena fantascientifica sovietica, la cui storia ricchissima non dovrebbe sorprendere nessuno. Il genere si presta e si prestava infatti sia a chi volesse raccontare le magnifiche sorti e progressive del regime (di qualsiasi regime) sia a chi volesse porsi qualche domanda su queste benedette sorti (e su qualsiasi regime e società). La città condannata appartiene nettamente al secondo gruppo; e, come apprendiamo dalla postfazione firmata da Boris Strugackij, nonostante il romanzo fosse già pronto agli inizi degli anni Settanta del XX secolo, per timore di censure e guai giudiziari fu pubblicato soltanto negli anni Ottanta, quando cioè l’impero si andava sgretolando. La città condannata, ci dice ancora l’autore, risponde allo scopo di mostrare “come, sotto la pressione delle circostanze della vita, la concezione del mondo di un giovane uomo cambi radicalmente, come passi da una posizione di fanatico irremovibile alla condizione di chi sembra essere sospeso, per così dire, in uno spazio ideologico completamente vuoto, senza il minimo appiglio sotto i piedi”. Uno svuotamento esistenziale che ha accomunato milioni di persone in Russia, più o meno coetanee dei fratelli Strugackij, e che senza dubbio riguarda tanti altri milioni di persone in tutto il mondo, messe alla prova in vario modo con il dissolvimento di miti, ideologie, stipendi e religioni, nonché con il ritorno, un po’ zombeggiante, di muri, integralismi, isolazionazionalismi e sovraqualunquismi di varia (e aggressiva) fattura.

La città condannata è un romanzo di fantascienza ambientato in una città sconosciuta in cui i misteriosi Mentori hanno trapiantato centinaia di migliaia di persone da tutto il mondo per far vivere loro un altrettanto misterioso esperimento di convivenza forzata. Ma è quasi inutile dire che le cose non andranno per il verso in cui erano state apparentemente programmate. Stravolgimenti e sovvertimenti che dureranno fino all’ultima parte del romanzo, in cui Andrej, il protagonista principale, dopo aver indossato molte altre maschere all’interno della società creata dai Mentori, si troverà a guidare una spedizione verso il deserto alla fine del mondo, che assumerà i contorni d’un viaggio iniziatico. L’impianto dell’opera ricorda molto da vicino Il fiume della vita (To your scattered bodies go) di Philip José Farmer, pubblicato per la prima volta nel 1971, anno in cui La città condannata a quanto pare era già in via di completamento. Ma se l’idea è molto simile, la differenza fondamentale tra le due opere è che Philip José Farmer declinò la visione d’un mondo misterioso in cui persone da tutte le epoche si trovavano a convivere forzatamente con un gusto per l’avventura e i colpi di scena che manca nel romanzo russo, che è più statico, direi granitico, concentrato sull’allegoria e sulla riflessione esistenziale, sul mondo interiore delle anime in pena che ne popolano le pagine. Anime in pena, va detto, quasi tutte maschili, se si fa eccezione per due-tre personaggi femminili liquidati malamente, a mio modo di vedere le cose, il che  stona non poco in un’opera che aspira a diventare un apologo sulla condizione umana. Ma erano davvero altri tempi.


Infine, per chi se lo stesse chiedendo, che cosa ci ricorda questo topos narrativo? Non sto parlando della misoginia, conscia e inconscia, quello è un problema con cui tutti dobbiamo fare i conti e guardarci dentro. Sto parlando del mistero della città condannata e dell’esperimento di convivenza forzata. La storia di un gruppo di persone sottratte alla loro esistenza e costrette a vivere in un posto a loro sconosciuto non vi suona familiare, in effetti? Non si tratta forse di Lost, nientemeno? E già. D’altronde, ragazzi, davvero pensavate che fosse un’idea nuova al cento per cento? Davvero pensavate che J. J. Abrams è diventato uno dei più famosi sceneggiatori e registi del mondo senza aver letto e studiato? E da dove gli sarebbero venute le idee, allora? Così, per grazia ricevuta?

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