Jennifer Egan – Manhattan Beach

by senzaudio
Manhattan Beach

Jennifer Egan è sempre stata circondata dall’aurea di scrittrice “sperimentale”, là dove le sue opere si sono rivelate sorprendenti (a partire da Il tempo è un bastardo, articolato secondo tredici punti di vista differenti), così quando questo Manhattan Beach è giunto alle stampe – sette anni dopo Il tempo è…, vincitore fra l’altro del premio Pulitzer – ci sono state molte sospettose alzate d’occhio. Questo perché Manhattan Beach si presenta come un “classico” romanzo storico, dedicato all’epopea del porto di New York – Brooklyn – durante la seconda guerra mondiale, là dove si costruivano le grandi navi con cui gli Stati Unti avrebbero definitivamente vinto il conflitto, in primis la Missouri. E in effetti la ricostruzione storica, che ha richiesto alla Egan dieci anni di ricerche, è impressionante nel suo tratteggiare la vita dei lavoratori portuali dell’epoca, fra la Grande Depressione e la guerra, con gli scontri fra i sindacati irlandesi e italiani, oltreché la malavita e la condizione femminile dell’epoca.

L’occhio della Egan stringe su alcuni personaggi fondamentali: Anna Kerrigan, giovane donna determinata a diventare palombara; il padre di lei, Eddie, che lavora per la malavita e a un certo punto scomparirà nel nulla, abbandonando – oltre Anna e la madre – pure una figlia gravemente disabile, Lydia; e infine il gangster Dexter Styles, di origine italiane camuffate anche attraverso l’espediente di un buon matrimonio con una figlia di banchieri, che però non gli permette di emergere del tutto dalla melma in cui è invischiato, anzi ci rimane con il tacito consenso del padre di lei, notabile incline a ragionare su come sfruttare le pieghe degli eventi per gli affari.

Molti fili legano questi personaggi, che la Egan annoda, snoda e riannoda lasciando dei buchi nel corso del romanzo – usando la tecnica dei salti temporali e dei punti di vista narrativi in terza persona, mai veramente onniscienti e lasciando quindi anche il lettore nell’incertezza. Numerose sono le chiavi di lettura: gangster-story in alcune pagine, romanzo di formazione e rivendicazione sociale in altre, avventura di mare alla Moby Dick in altre ancora. La stessa lingua è volutamente antiquata, nei termini e nelle espressioni, lontana da ogni velleità sperimentalistica: cosa che la Egan fa per raggiungere il suo scopo di costruire questa forma di romanzo storico, che si ispira alla grande tradizione che ha dietro di sé e che tuttavia vuole avere allo stesso tempo elementi nuovi.

Il grande protagonista del discorso eganiano diventa il mare: se ne parla, credo a ragione, accennando a una sua valenza metafisica là dove è simbolo di oscurità e ignoranza, che Anna cerca di svelare attraverso le sue immersioni. Ancora, come luogo dove perdersi o, meglio, nascondersi, nella sua immensità come fa il padre, Eddie, quando cerca di cancellare le sue tracce e il suo passato. Lo stesso gangster, Dexter Styles, è legato al mare che gli dà una forma – illusoria – di sicurezza e non è privo di significato che Lydia, la sorella disabile di Anna, dia un qualche segno – di nuovo, ingannatore – di coscienza davanti all’acqua dell’oceano.

La cifra finale del romanzo è la dissimulazione e l’inganno: come nascono, come vengono portati avanti e – a volte, non sempre – in che modo il velo di Maya venga squarciato e si arrivi a una qualche forma di convivenza con ciò che si viene a scoprire. Se cioè si possa andare oltre la bugia in cui si è sempre vissuti e costruire, sulle macerie, qualcosa di nuovo o se invece non vi sia una concreta alternativa a una narrazione diversa da ciò che i protagonisti percepiscono come “reale”: sta qui il nuovo tentativo sperimentale di Jennifer Egan.

Traduzione di Giovanna Granato


Jennifer Egan, una delle scrittrici viventi più importanti del panorama letterario mondiale, è autrice di numerosi romanzi e una raccolta di racconti. Con il romanzo Il tempo è un bastardo (edito in Italia da minimun fax) ha vinto oltre al Premio Pulitzer 2011 anche il National Book Award per la Fiction e il Los Angeles Times Book Prize. I suoi racconti sono apparsi su “The New Yorker”, “Harpers”, “Granta”, “McSweeney” e altre riviste.

Commenti a questo post

Articoli simili

Leave a Comment