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Il centravanti è stato assassinato verso sera

by senzaudio

Nel calcio postmoderno dei grandi capitali extra-europei e del mercato globale non si è ancora capito bene se quello del centravanti sia un ruolo da preservare o semplicemente una vecchia figurina di un libro un po’ ingiallito da sfogliare con la nostalgica consapevolezza che il calcio ora è solo l’escrescenza di una società che pretende spettacolo pagando profumatamente per ottenerlo, una sovrastruttura sociale che genera indotto e nuove economie parallele. Certo, dall’antichità della “piramide rovesciata” ai grandi centravanti degli anni ’70 e ’80 dell’intero emisfero boreale di tempo ne è trascorso e quest’idea del falso nueve tornata tanto di moda col Barcellona di Guardiola non si ricorda forse più troppo dell’Hidegkuti della Grande Ungheria o dell’Olanda del calcio totale, dei Cruijff e dei Neeskens, ovvero di uomini le cui movenze erano sorrette da convinzioni tattiche che miravano a confutare il pensiero che una qualsiasi squadra di calcio schierata all’interno di un rettangolo verde non potesse prescindere da un centravanti di ruolo.

Il calcio, come tanti saperi e mestieri, è un oggetto in perenne mutazione e ha avuto in ogni epoca il suo sistema. Durante gli anni ’90 grazie alle innovative tecniche di allenamento, alle nuove scoperte in fatto di scienze motorie e all’introduzione delle teorie di bio-meccanica il calcio ha prodotto un esercito di calciatori atleticamente perfetti: veloci, robusti e resistenti. Il centrocampo è diventato sempre più muscolare giungendo quasi a far scomparire quei ruoli cui storicamente si attribuiva libertà e genialità, così per un decennio e oltre le figure delle ali e dei trequartisti erano diventate più rare di mosche bianche. Non pare neppure il caso di effettuare una disamina storico-filologica per affermare che allo stato attuale delle cose la figura del centravanti sembra, tra le altre, quella messa più in crisi. Fino a 30 anni fa il calcio pullulava di bomber, ora invece i centravanti di razza, quelli purissimi, si contano sulle dita di una mano. E a livello planetario.

Anche in Italia naturalmente non siamo messi benissimo sul fronte centravanti. Ci sarebbe da fare un’indagine di quelle degne di Pepe Carvalho, il noto investigatore uscito dalla penna dello scrittore catalano Manuel Vázquez Montalbán, sui settori giovanili in Italia (autentico punctum dolens dell’intero sistema calcio peninsulare) per capire se alle nuove leve calcistiche e alle nuove generazioni in genere venga ancora insegnato il ruolo del centravanti, se perlomeno abbia ancora senso farlo alla luce degli attuali sistemi di gioco. A guardare gente come Zaza, Duric (bosniaco, ma italiano d’adozione), Pucciarelli, Petagna, sì, ma poi preferiamo acquistare altrove. Però questo è un altro problema, quello dei vivai, per l’appunto. E a noi restano Destro, Paloschi, Sau, Gabbiadini (più un ibrido, in verità), Immobile (transfuga a Dortmund), Balotelli (una voce di un’enciclopedia a parte) per non parlare di gloriose cariatidi come Di Natale, Toni, Gilardino, Quagliarella, Pellissier, Pazzini.

Ecco, Pazzini. Appunto. Il “Pazzo” ci sembra proprio il caso emblematico di quello che potrebbe essere un bel serial tv sportivo dal titolo “Il centravanti, questo sconosciuto”. Mai come nel caso del Milan edizione 2014/2015 le idee ci appaiono essere state più confuse, complici ovviamente le scelte di mercato di sua eminenza (grigia) Adriano Galliani, in carica da un trentennio in casa rossonera. Eppure Pippo Inzaghi era un centravanti. E che centravanti! L’escalation è mirabile: col calciomercato estivo alla corte di Berlusconi arriva nientepopodimeno che Fernando Torres, dismesso dal Chelsea di Mourinho che nel guazzabuglio di un comparto offensivo faraonico non sa che farsene; Torres al Milan gioca poco e male perché il modulo di Inzaghi predilige Ménez finto nove assistito da due esterni; Torres viene scambiato con Cerci che nel frattempo è transitato a Madrid, sponda Atletico: un affarone all’apparenza, un bidone nei fatti; con i rossoneri in crisi di risultati dalle parti di via Turati ci si rende ben conto che forse una punta di ruolo può tornare comoda e che forse è il caso di tornare a giocare con un centravanti che la butti dentro per davvero, ma perché a quel punto dare fiducia al centravanti di casa Giampaolo Pazzini fino ad allora abbandonato come un pacco postale in qualche oscuro scantinato della nuova Casa Milan? No, se ne cerchi pure un altro altrove e così il dr. Galliani si premura di andare ad implorare Destro al citofono e di seguirlo a Milano. Altro che fantacalcio!

L’ultimo atto di un omicidio simbolico viene perpetrato in grande stile proprio alla Scala del calcio, San Siro, lo scenario più adeguatamente glamour, diremmo. Una baroccata degna del miglior Ken Russell. Fin dalla lettura delle formazioni iniziali dell’anticipo serale della 26a giornata di campionato tra Milan e Verona c’è qualcosa di sospettosamente colpevole, quasi uno di quegli atti scopertamente volontari degli assassini seriali quando inconsciamente desiderano di essere fermati e quest’esibizione di colpevolezza è la presenza di Pazzini al centro dell’attacco al posto del più attendibile Mattia Destro. Un vero e proprio gioco al massacro nei confronti della figura del centravanti. Ménez, Cerci e Bonaventura giocano come se fossero loro il tridente di un immaginario 4-3-3. Solitario, isolato, irraggiungibile, come in un dramma cechoviano il “Pazzo” si danna l’anima per ricevere un pallone giocabile che sia uno. Nella confusione più totale, il ruolo del centravanti viene piuttosto usurpato da Mexès. La manovra dei tre tende quasi sistematicamente ad escludere i movimenti di Pazzini che toccherà in tutto il corso della partita non più di tre volte la palla. E alla fine la decapitazione etica e simbolica, dell’uomo e del ruolo, giunge inesorabile come lama di ghigliottina al minuto 77, quando Inzaghi sul vantaggio di 2-1 decide di sostituirlo con Bocchetti, un difensore (sic).

Per tutto ciò meritate che il centravanti venga assassinato, all’imbrunire senz’altro. E se mi chiedete perché il centravanti deve essere ucciso all’imbrunire, vi dirò che bisogna farlo prima che giunga la notte e io rimanga solo, nella casa dei morti che solo io ricordo”. M.V. Montalbán

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9 comments

emilianopicco 9 Marzo 2015 - 9:58

Tutto molto vero. Va però messo a bilancio che la figura di un allenatore totalmente mediocre e impreparato come il cocco del Berlusca gioca un ruolo principe nella stesura di questo articolo. Purtroppo sull’altra sponda, ieri, Icardi è tornato con Tevez e Higuain capocannoniere del campionato e lui è il più chiaro esempio che se caricato e gestito a dovere il ruolo è ancora importante. Questo comunque non toglie che in Italia il pressapochismo tattico della nuova generazione di allenatori, che vanta la totale assenza di modi per portare palla da dietro alle punte, ha come prima vittima, secondo me, la figura del centravanti.

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