Del Potere

by senzaudio

Attorno al potere si sono fatti, di certo, molti ed autorevoli discorsi, alcuni assennati ed altri meno. Tuttavia ancora non si è afferrato, quantomeno non comunemente, il magma pulsante della questione. E’, in altre parole, una questione ancora aperta ed ancora ben viva. E cosa si può affermare di più assurdo e di più orrendo che non possa esistere un potere buono? Ed è proprio sulla via di Pasolini, il quale nel Romanzo delle Stragi già ci metteva in guardia da ciò, sulla via forse meno battuta, che ho deciso di inerpicarmi. Perché è qui che mi ha spinto la realtà che ho sotto gli occhi. Una realtà in cui il raggiungimento di una posizione di comando implica un quasi necessario sporcarsi. Un tradimento di se stessi, dei propri più profondi convincimenti. Chi osservando il proscenio della politica (ma non solo) può dire l’opposto? Giunta al governo ogni opposizione recede dai suoi buoni propositi. Ogni homo novus disattende i messaggi di cui si era fatto latore. Ed è il potere la macchia. La colpa atavica. Il potere non è buono. E non questo o quel potere, ma il Potere in sé. Il potere stesso come istanza umana. Il Potere è malvagio. Violento.

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E ora non si può più evitare di incrociare il discorso di un pensatore che già ha affrontato questi temi: Emanuele Severino. Proprio seguendo le sue orme mi sento di affermare con forza che la violenza, la malvagità, financhè la negatività del potere siano un fatto costitutivo dello stesso, e non si possano derubricare a meri attributi accidentali che il potere possiede in questa epoca, ma che, magari, non possedeva in un altra passata, o non possederà in una futura. Il potere è per natura negativo. Difatti ciò dipende da un movimento proprio dell’indole profonda del potere, per esistere, infatti, esso non può che imporsi, che far chinare il capo ai suoi oppositori. Proseguendo nel discorso non si può far tacere Severino, e non si può non ammettere che ciò dipenda da una visione ben precisa del mondo. Più correttamente da un’interpretazione del mondo. Un modo di concepire la realtà, principiato da Parmenide e giunto sino alla modernità e quindi dato in eredità alla contemporaneità, che non si può che definire nichilista. Anzi Nichilista, perché si è di fronte al Nichilismo in senso autentico e più proprio. Il Nichilismo da cui discende ogni altro tipo di nichilismo. In quanto si basa sulla convinzione che la cosa, che l’ente sia niente. Si basa, cioè, sull’identità degli opposti. Si pensi ad Hegel quando asserisce, dalle pagine della Scienza della Logica,  che l’essere è niente. L’essere si identifica, quindi, con il non essere per il Nichilismo. E’, come la definisce Severino, una pazzia, e come tutti i pazzi l’Occidente non si riconosce malato. Al contrario si ritiene in perfetta salute. E così il Potere è espressione di questa perversione aurorale e primigenia, che pretende di volere le cose del mondo per ciò che non sono. E’ l’assurda pretesa di volere  la realtà in senso diametralmente opposto rispetto alla sua essenza medesima.

FOTO FESTIVALFILOSOFIA 2012 - pomeriggio/sera di sabato 15

Così ogni oggettivazione del potere è afflitta da questa originaria malattia. Persino la più eminente e caratteristica della modernità. Lo Stato. E si potrà desumere ciò a partire dalla sua  più riuscita definizione. Quella di Weber, che non può che identificare lo Stato come il detentore del “monopolio della coercizione e della forza legittima”. E’ dunque chiaro su che basi sorga lo Stato. Lo Stato, come concretizzazione del potere, è prima di tutto esercizio della forza. Forza legittimata e normata certo. Ma pur sempre forza, pur sempre violenza. Perché il primo scopo del Potere, come dello Stato, è il mantenimento di sé. Il mantenimento di sé attraverso la forza. Dunque è chiaro che l’entrata all’interno dell’orizzonte della logica del Potere implichi un inserimento all’interno dell’orizzonte e della logica della forza, che piega sotto il suo peso lo sventurato che vi è giunto. E’ necessario, in sintesi, trascendere da tale prospettiva, inscriversi all’interno di un orizzonte che sia altro rispetto a quello poc’anzi descritto. Quale questo sia non posso dirlo. Perché non lo conosco. La ricerca di questo nuovo piano nel quale inserirsi, infatti, non deve essere affidata a nessuno, né a filosofi più o meno competenti né a politici più o meno sfaccendati. Bensì a se stessi. Ne consegue che la ricerca non deve avvenire da nessuna altra parte che non sia all’interno di ogni singolo individuo. Per uscire dal circolo vizioso di Nichilismo, Potere, Violenza è necessario un moto proprio, uno scatto di volontà, ed è qui che abbandono, colpevolmente,  Severino, perché non si può prescindere dalla volontà personale per rompere lo schema nel quale l’Occidente è intrappolato sin dalla sua stessa nascita. Una volontà non nichilisticamente intesa. Una volontà che sia la premessa per un agire nuovo e, finalmente, libero in senso autentico.

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