“Un giocatore lo vedi dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia”. Così cantava Francesco De Gregori nel 1982 ne “La leva calcistica della classe ’68”, esortando il piccolo Nino a non aver paura di sbagliare un calcio di rigore.
Coraggio. Altruismo. Fantasia. Ecco, se c’è nel gioco del calcio un ruolo che più di ogni altro incarna ed esalta al massimo queste qualità, è sicuramente quello dell’ala.
Coraggio nel cercare ripetutamente il dribbling e nel puntare il terzino avversario nel tentativo di superarlo, avendo spesso a disposizione un lembo ristretto di campo, al confine con la linea laterale.
Altruismo nel proporsi continuamente ai compagni di squadra dettando loro il passaggio, nel ripiegare a difesa della propria metà campo e, soprattutto, nel distribuire cross e assist al bacio agli attaccanti.
Fantasia, perché l’ala è spesso una sorta di fantasista decentrato, un giocatore estroso e ricco di talento, a volte solitario quando si estranea per lunghi tratti dal vivo dell’azione, ma capace di fiammate improvvise e decisive.
Pier Paolo Pasolini paragonava il gioco del calcio al linguaggio: come c’è un linguaggio prosastico e un linguaggio poetico, affermava, così il calcio ha i suoi prosatori e i suoi poeti. E il dribbling, la caratteristica principale dell’ala, per lui ne rappresentava per l’appunto, insieme al gol, uno dei momenti più poetici.
“Il sogno di ogni giocatore (condiviso da ogni spettatore) – scriveva Pasolini – è partire da metà campo, dribblare tutti e segnare”.
Eppure negli ultimi anni, forse addirittura decenni, l’ala pura sembrava quasi scomparsa dai radar del calcio italiano e, più in generale, internazionale.
Un ruolo antico, nato negli anni ’30 del secolo scorso con il famoso Sistema (o WM dalla disposizione in campo dei giocatori, un 3-2-2-3), quando le ali erano in pratica degli attaccanti laterali.
Un ruolo che ha avuto degli interpreti straordinari, come Manè Garrincha, per molti la più grande ala destra della storia, con la sua zoppìa congenita e i suoi dribbling, sempre uguali eppure sempre diversi.
E poi Matthews, Hamrin, Jair, Best, Gigi Meroni, Domenghini, Claudio Sala, Causio, Bruno Conti, Luis Figo, il Cristiano Ronaldo prima maniera e tanti altri.
Con l’avvento del 4-4-2 sacchiano e dei suoi vari epigoni, imperniati sulla tattica e sugli schemi, l’ala è stata sostituita per lo più da un esterno di centrocampo, un giocatore spesso più di corsa che di talento (ma c’erano anche le eccezioni come Donadoni), attento a non sbilanciare la squadra e a non trascurare la fase difensiva.
Anche il 3-5-2 ha bandito l’ala pura, prediligendo sugli esterni giocatori di “fatica”, con il compito di coprire tutta la fascia, certo preziosi per salvaguardare l’equilibrio tattico, ma meno lucidi ed efficaci nella fase offensiva, trattandosi spesso di terzini avanzati (il Lichsteiner della Juve di Conte o i Darmian e De Sciglio della Nazionale di Prandelli in Brasile ne sono degli esempi).
Nell’ultimo periodo sembra esserci stata, però, un’inversione di tendenza: le vecchie ali offensive dal dribbling facile, i cross “pennellati” e anche una certa confidenza con il gol, sono tornate improvvisamente di moda.
Ai recenti Mondiali, ad esempio, sono stati assoluti protagonisti il colombiano Cuadrado e l’olandese Arjen Robben. Quello scorso è stato in Serie A il campionato della consacrazione per un’ala classica come Cerci, spostato dall’allenatore del Torino Ventura qualche metro più avanti, in appoggio alla prima punta, e in grado di segnare 13 gol e fornire quasi altrettanti assist.
Ma è stato anche il campionato di Gervinho, di Callejon e di un esterno di centrocampo ormai convertitosi in ala come Candreva. E il colpo finora più costoso del calciomercato di casa nostra è stato l’acquisto da parte della Roma di Iturbe, trottolino di fascia rivelazione della scorsa stagione con la maglia del Verona.
In un calcio moderno comunque attento all’organizzazione di gioco e alla disciplina tattica, gli allenatori hanno riscoperto l’importanza di affidarsi all’inventiva e alla fantasia delle ali, alle loro discese ardite e risalite, alla loro capacità di procurare la superiorità numerica o di allargare la linea di difesa avversaria, favorendo gli inserimenti centrali dei compagni.
E così la fascia sta tornando a ripopolarsi di giocatori tecnici, veloci e talentuosi e uno dei ruoli più romantici del calcio – un po’ attaccante, un po’ centrocampista e un po’ fantasista – che sembrava ormai quasi dimenticato, ha ritrovato la propria identità.
P.S. “… Il ragazzo si farà, anche se ha le spalle strette. Questo altro anno giocherà con la maglia numero sette”.
Il 7, il numero storico dell’ala destra. Mi piace immaginare che anche il Nino della canzone di De Gregori sia poi diventato un giocatore tutto scatti, dribbling, tecnica e, ovviamente, coraggio, altruismo e fantasia. Perché è da questi particolari che si giudica un’ala.
E pare proprio sia tornata.