Ed Wood è considerato da molti critici “il peggior regista di tutti i tempi”, tanto scadente da diventare un autore di culto. È noto soprattutto come regista del B-movies “Plan 9 from Outer Space” (1955). Un visionario, o forse un folle sognatore, con enormi ambizioni e idee ma senza i soldi necessari per poterli realizzare. Un personaggio unico e ambiguo, perfetto per diventare il protagonista di un film di Tim Burton che sulla stranezza ha basato la sua filmografia e caratterizzato i suoi personaggi. Per interpretarlo scegli il suo attore feticcio Johnny Depp che lo incarnerà perfettamente. Il titolo sarà appunto “Ed Wood” uscito nel 1994.
Questa premessa serve solo per delineare i contorni di un uomo fuori dagli schemi classici, di un visionario con una fantasia perversa, una mente capace di creare sogni violenti.
“Splatter. Scritture pulp” (Galucci editore) raccoglie 34 racconti di Ed Wood scritti per racimolare qualche soldo per sopravvivere e per farsi qualche bevuta in più. Racconti scritti a cavallo degli anni sessanta e settanta e che erano usati per riempire gli spazi vuoti tra le fotografie di pin-up nelle riviste soft porno dell’epoca. Sono racconti pregni di violenza, di sesso, di erotismo sporco e nonostante vengano trattate queste tematiche si percepisce un’eleganza simile a un golfino d’angora da donna di cui Ed Wood era fanatico e che amava indossare vestendosi poi completamente da donna. Lui era anche questo, un mix di contraddizioni.
All’interno del libro si trovano mariti stanchi, donne che amano essere possedute carnalmente da demoni, preti in guerra, missionari e ubriaconi annoiati. Personaggi che si muovono in una palude da cui nessuno riesce ad uscirne pulito, dove la morte è in attesa della sua vittima e in questi racconti ha un sacco di lavoro da fare. Dalle parole emergono desideri più o meno nascosti e pulsioni. E sono proprio queste ultime a muovere la mano di Ed Wood e la sua mente disegna usando il sangue come colore. Forse “il peggior regista di tutti i tempi” ma di certo un maestro del pulp, quello vero, quello puro.
La traduzione è di Daniele Petruccioli
wood
La musica è un linguaggio universale che insieme all’uomo si è evoluto, facendo da colonna sonora alla realtà e a volte persino cambiandola. Accompagna da sempre l’esistenza delle persone tramutandosi spesso in un’esperienza soggettiva. La musica non è semplicemente un insieme armonico o meno di suoni ma è un amplificatore di stati emotivi e può diventare una medicina per la cura del corpo e soprattutto dello spirito.
E la musica è il fulcro de Il caso Bellwether di Benjamin Wood dove l’autore esplora e tenta di spiegare l’importanza emotiva che produce diventando il collante che unisce – e divide – i personaggi. Il romanzo inizia in maniera tragica, violenta: ci sono due cadaveri e uno dei protagonisti in fin di vita in una bella casa sul fiume. Poi, però, si riparte dall’inizio costruendo una parola alla volta, come fosse un complesso puzzle, il percorso che ha portato alla morte di queste persone. Conosciamo quindi Oscar, un ragazzo che vive a Cambridge e stranamente non è uno studente ma lavora in una casa di riposo, lui è un giovane normale che attratto dal suono di un organo suonato splendidamente entra dentro una chiesa . Da quel momento la sua vita cambierà per sempre. Conosce Iris, come il genere e non come il fiore come specificherà lei stessa, e ne sarà attratto, lei è la sorella del talentuoso organista. Qui compare Eden, il personaggio che muove la storia, il centro della narrazione, colui che suona in maniera divina e che arriverà ad affermare di poter controllare la mente delle persone solo con la musica. All’inizio tutto sembra essere curioso e quasi divertente, ma diventerà inquietante e spaventoso. Benjamin Wood riesce, al suo esordio, a costruire una trama su più livelli utilizzando una scrittura descrittiva e raffinata, dal sapore antico. Facendoci immergere fino al collo nella Cambridge nobile e riuscendo a farci uscire confusi, sporchi ma anche ammaliati. Eden Bellwether grazie alla musica crede di poter guarire le persone ed è pronto a tutto per dimostrarlo. Pian piano, però, si sgretolano i sogni di tutti e tutto diventa una sinfonia cacofonica, inascoltabile. Carlo Dossi disse che “Il genio è una varietà della pazzia” e la cosa vale anche al contrario.
La traduzione è di Maurizio Bartocci e Valerio Palmieri.
Benjamin Wood è nato nel 1981 nel Nord-Est dell’Inghilterra. Tiene un master in Scrittura creativa all’Università della British Columbia, in Canada, che lui stesso aveva frequentato. Mentre era studente, è stato scelto come editor di narrativa dalla rivista PRISM International. Il caso Bellwether è il suo romanzo d’esordio e nel 2014 ha vinto in Francia il Prix du Roman Fnac, il Prix Millepages e il Prix Jakin.
Ponte alle Grazie è una casa editrice, fondata a Firenze alla fine degli anni Ottanta, è stata rilevata dal Gruppo Longanesi nel 1993, nel gennaio 2006 è entrata a far parte del Gruppo editoriale Mauri Spagnol (GeMS), la nuova holding editoriale nata dall’accordo tra le famiglie Mauri e Spagnol.
Negli anni il catalogo si è arricchito di autori affermati a livello internazionale e giovani promesse apprezzate da pubblico e critica.