Paratesto:
Occhi inquieti, occhi tristi, occhi di qualcuno che è prigioniero e chiede aiuto. Chiede che venga la propria fine. E’ ipnotica la copertina de “Il luogo perfetto”, vi porterà dentro il libro prima che lo apriate, ma fate attenzione, è un libro senza fondo e vi ci perderete.
Testo:
E tu sei lì, che leggi, che fai ipotesi, prima parti da quelle più plausibili e poi, mano a mano che la lettura procedere, inizi a sondare l’ambito dell’improbabile, per finire in quello dell’impossibile. E poi la soluzione non arriva. Rimani sospeso a vagare tra le tue congetture, mentre sai che di tutto quello che pensi, forse un decimo corrisponde al vero. L’abilità di Carlos Dámaso Martínez sta anche qui. Ci consegna una raccolta di racconti, spesso racconti ambientati in luoghi di villeggiatura, terreno ideale per lasciarsi andare ed abbassare la guardia e ci piazza un evento che ci squote. Qualcosa che cerchiamo di analizzare con i crismi della razionalità ma che continua a sfuggirci, a scivolare sempre un po’ più in là noncurante dei nostri tentativi di afferrarlo.
E tutto questo con una scrittura semplice, di quella semplicità che racchiude in sé la padronanza completa della materia scritta. Una semplicità con la quale riesce, mattone su mattone, a costruire delle mura di angoscia che alla fine ci crollano addosso. Chi sono i due di Vartha? Cosa ha visto dalla finestra la coppia che scappa dal luogo di villeggiatura? Cos’è il kadmon?
Già, il kadmon. Lasciatemelo dire, di Carlos Dámaso Martínez adoro anche le citazioni iniziali, gli omaggi che fa a Borges ed Onetti. Omaggiare simili scrittori è sempre un rischio, uno potrebbe correre il rischio di rendersi ridicolo, ma a Dámaso Martínez questo non succede mai.
Leggerete una raccolta di racconti in cui nulla vi verrà svelato fino in fondo, in cui ciò che rimane celato allo sguardo deve essere completato dalla vostra intelligenza, dalla vostra fantasia e dal vostro coraggio.
Coordinate:
Ancora una volta mi capita di parlare di un libro della casa editrice Arcoiris e generato sotto la potente influenza di un gruppo occulto denominato Gli Eccentrici. Ancora una volta devo confessare di essermi concesso una lettura piacevole. Più di tanto non posso aggiungere a quanto detto in passato a proposito di questa casa editrice e della collana de Gli Eccentrici. Mi piace però pensare che un amante della letteratura lationamericana non può prescindere dal frequentarli. Da quando ho fatto la loro conoscenza i miei orizzonti letterari sudamericani si sono ampliati a dismisura e Dàmaso Martinez è solo l’ultimo di una lunga serie di autori che mi erano sconosciuti e che ora, grazie ad Arcoiris e compagni, posso fregiarmi di conoscere con gli amici del bar sotto casa.
Carlos Dámaso Martínez è vissuto a Córdoba (Argentina) fino al 1973. Attualmente vive a Buenos Aires. È ricercatore all’Istituto di Letteratura Ispanoamericana della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Buenos Aires e ha fatto parte del comitato di redazione della rivista “Espacios” nella stessa facoltà dal 1984 al 2006. Oggi lavora come docente all’Instituto Universitario Nacional del Arte (IUNA) e dirige la collana “Letras y pensamiento en el Bicentenario” della casa editrice Eduvim. Nel corso della sua carriera ha lavorato parallelamente come giornalista culturale e come sceneggiatore cinematografico; inoltre ha pubblicato diversi saggi sulla letteratura ispanoamericana. Ha ricevuto i premi “Fondo Nacional de las Artes” (1997) e “Eduardo Mallea-Ciudad de Buenos Aires” (1998) per El informante, e il premio Ricardo Rojas Cuento-Novela (2003) per la raccolta El amor cambia.
Per le Edizioni Arcoiris sono usciti anche La piena (La creciente, 1997) e Ceneri nel vento (Hay cenizas en el viento, 1982).
La traduzione ad opera di Loris Tassi e Lorenza Di Lella mi sembra priva di sbavature. L’angoscia e le atmosfere cupe presenti nei racconti vengono veicolati alla perfezione da una lingua che non è mai manieristica e che i traduttori assecondano alla perfezione.
L’inquietudine che mi provoca la copertina non credo di potervela rendere a parole. Ogni volta che prendevo in mano “Un luogo perfetto” cercavo di guardarla il meno possibile, mi disturbava lo sguardo smorto dei due personaggi ritratti, mi disturbava il loro sovrapporsi quasi fossero un’unica persona. Credo che parte del piacere di essere riuscito ad entrare nelle profondità del testo sia dovuto alla copertina creata dal team: