Paratesto:
Certe copertine meriterebbero una recensione a sé stante. Se “Un giorno per disfare” mi ha ipnotizzato al punto di essermi imposto di finirlo in una singola maratona di lettura, una parte del merito va a questa copertina.
Dal bianco candido si conficcano negli occhi, come fossero immagini in tre dimensioni, queste presenze di animali feriti, animali bendati, insetti immortalati in una eterna mancanza di movimento. Eppure, mentre mi rigiro il libro tra le mani, non riesco a fare a meno di pensare che quelli feriti siamo noi, che l’animale ferito in maniera più grave è l’uomo.
Testo:
Scendo dal treno. Mi incammino verso l’uscita della stazione e Lars Keniota mi intercetta. Lo vedo da distante, così ho il tempo di prepararmi all’incontro. Vedo il suo zaino rosso e i capelli biondi. So che è lui anche se mi mancano un po’ di diotrie e da distante ci vedo poco. Ma nel percorso di avvicinamento ho modo di cambiare espressione e mi presento davanti a lui con un sorriso.
Perché sei incazzato?, mi chiede senza salutare. Gli rispondo che non è vero, che sono tranquillissimo. Alchè Lars controbatte che, al contrario di me, lui da distante ci vede bene e l’ha visto chiaramente che avevo una faccia da incazzato.
A lui non vale la pena di mentire, per cui gli spiego il semplice motivo per cui oggi mi girano.
Ho letto un libro bellissimo.
E allora, fa lui, non dovresti essere contento?
Vedi caro Lars, io son contento di aver letto un libro che mi ha obbligato ad andare avanti fino alla fine senza interruzione. Sono contento perché credo di aver vissuto, in questo modo, una grande esperienza di lettura. Però sono anche nero, perché ho pensato che di fronte ad un libro del genere cosa vuoi scrivere? Ogni recensione perde di senso. Dovresti scrivere qualcosa di altrettanto bello per rendere giustizia a “Un giorno per disfare”.
Lars, dubbioso mi chiede, e tu non ci riesci?
E non ci riesco no, dico io. Sai la prima cosa che mi è passato per la mente di scrivere? E prima che apra bocca glielo dico. Mi è venuto in mente di scrivere: comprate questo libro, cazzo!
Lars mi dice che secondo lui sarebbe stata una recensione d’impatto, ma forse poco professionale.
Annuisco.
Ma senti, spiegami, mi chiede, cos’ha che te lo fa piacere così tanto?
Caro Lars, il punto è che l’ho trovato perfetto così com’è. Un libro sulla solitudine umana. Vedi, c’è questo ragazzo, Matteo Danza, un italiano che va a studiare Biologia in Francia e che ha una teoria. C’è un momento in cui l’uomo diventa solo, un momento in cui c’è una separazione tra uno stato di comunione con gli altri ad uno stato di solitudine e mancanza. L’uomo è un animale che ha costruito da solo la propria cattività, progettando città enormi che sono diventate gabbie. E poi c’è Jaques, un giornalista colpito dal Parkison che immortala il gesto disperato di Matteo. Ci sono Christiane regista teatrale dalle dubbie speranze con cui Matteo ha avuto una storia, Agnés, la madre di questa, che è riuscita a fare tutto un giro della giostro per ritrovarsi sola e al punto di partenza. Il padre di Agnés, ormai vedovo. Loris, il collega di Jaques andato in pensione. Tutti soffrono di forme diverse di solitudine. A tutti manca qualcosa. E poi c’è Pluto che brucia e Jaques che ci racconta la storia di Matteo per aiutarci a capire il perché di quanto successo.
Ma vedi, aldilà della storia, mio caro Lars, c’è anche una questione relativa alla scrittura. Il romanzo procede a piccoli passi, tessere sparse qua e là che lentamente, messe una vicino all’altra, danno un quadro generale delle storia. Sta a te, lettore, fare un piccolo sforzo per unire i fili. Riba non ti propone una storia lineare, ti invita ad unire i puntini. Lo facevi mai nella Settimana Enigmistica? Uguale. E fa tutto questo con una scrittura essenziale e ruvida, abrasiva se mi permetti il termine. Qualcosa che ti graffia la pelle mente leggi e un po’ ti fa sanguinare. Perché la storia di Danza ti entra in prodondità e ti fa chiedere se dentro a Pluto ci potevi finire anche tu, tutte quelle volte che ti sei sentito solo.
Arriviamo al cancello e mentre mi incammino verso le scale sento Lars dire: fai che oggi sia un giorno per fare.
Coordinate:
La prima cosa che mi viene da dire è che 66thand2nd sta facendo un lavoro dannatamente interessante. Sono scesi nell’arena dell’editoria con quelle che sembrano essere idee chiare ed efficaci. “Un giorno per disfare” è solo l’ultimo dei libri che ho letto e che ho trovato “importanti”. Non ho mai pensato, leggendo nel loro catalogo, di trovare un titolo che in qualche modo non fosse necessario, non ho mai trovato un titolo che mi ha fatto dire a Lars: questo potevano fare anche a meno di pubblicarlo. Secondo me questo è un segnale, un forte segnale di identità. Spero di continuare a rovistare nel loro catalogo con la stessa immutata soddisfazione. Nel caso, sto progettando una libreria molto grande.
Al momento dell’uscita di questa recensione “Un giorno per disfare” ha già ricevuto alcune menzioni da testate molto importanti. Quindi, le mie parole non potranno mai spostare l’equilibro che si sta andando delineando e che vede un’accoglienza più che positiva per il libro di Raffaele Riba. Dell’autore, esordiente, non so molto, so quello che ho letto nella pagina a lui dedicata nel sito della casa editrice, per cui vi riporto il testo e poi starà a voi e a Lars farvi un’idea precisa su che tipo sia Riba.
Raffaele Riba è nato a Cuneo nel 1983. Vive a Torino dove lavora come redattore presso la scuola Holden. Ha pubblicato diversi racconti tra cui L’eloquenza delle nature morte su «Watt» 0,5 (2012) e La storia di Cinzia nella raccolta 100 storie per quando è troppo tardi (Felktrinelli, 2012). Un giorno per disfare è il suo primo romanzo.