E’ bene parlare anche di poesia.
Un po’ di poesia
Confesso: solitamente, quando mi trovo davanti una raccolta di poesia evito di leggere la prefazione, lo faccio perché voglio che sia la poesia a parlarmi di sé, nessun altro, nemmeno la mente che l’ha generata. Con Amore ho preso un granchio – antologia poetica di Gianluca Lancieri edita da Miraggi – le cose sono andate diversamente: ho letto la prefazione ed ho avuto paura.
Ho avuto paura che le pagine a seguire fossero un coacervo di amore sdolcinato, tristume “post rottura”, litigi a colazione, ho dovuto, invece, ricredermi immediatamente.
Si perché Amore ho preso un granchio narra -come afferma il preambolo dell’autore – « il [suo] rapporto con l’amore degli ultimi dieci anni» ma lo fa in maniera scanzonata alternando lo stupore dolcissimo che viene dall’assistere allo spettacolo di due anime che si incastrano perfettamente allo sforzo ammirevole di appropriarsi delle cose della vita nominandole: «Io, invece/le chiamerei/vederti sul divano/insieme a me/arrotolati al plaid/a firmare/contratti/d’amore.». Lo fa servendosi del potere della parola, operazione che ha come risultato giochi ed architetture tanto ben riusciti da far sospettare che qui, il primo amore, sia quello per la propria lingua: «A mano a mano/ le persone/ s’amano»; «Ero un verbo essere /perso all’infinito./Sono, con te/prima persona /plurale.».
La parola d’ordine è, comunque, narrazione e lo è a pieno titolo in quanto Lancieri osa, addirittura, il discorso diretto libero che trasforma la poesia in un luogo di scambio istantaneo, rapido, estemporaneo: essa si fa sotto i nostri occhi, prima che leggerla, possiamo vederla. A dialogare, però, non sono solo l’io e il tu transennati nel singolo componimento ma anche le poesie tra di loro; ecco dunque che queste ci accompagnano – tenendoci per mano – lungo il filo del discorso; si parlano e ci parlano.
Altra nota di merito va poi all’attenzione che Lancieri riserva alla collettività: Presidente dell’Associazione Culturale Legione Creativa, non disdegna di inserire diversi artisti prendendone in prestito parole ed immagini.
Ed infine, la poesia dialettale: sincera perché viscerale, è forse la più adatta a cantare di cose d’amore: «Ma nun m’addoloro/te vengo a pija nei sogni/stanotte/te porto ar mare/a guardà/er tramonto».