God bless DMAX. Per quanto mi riguarda, oltre ai canali dedicati al cinema (tanto per citarvene uno, Iris), penso che DMAX sia l’unico canale per cui valga ancora la pena accendere la TV. Non vi nascondo che, all’inizio, pensavo fosse solo la versione “virile” di Real Time, il quale, diciamo la verità, ha più che stufato con la sua più che ripetitiva lista di programmi, che, pur cambiando nome e/o presentatore, propongono sempre gli stessi argomenti: torte – matrimoni – obesità – case sporche e disordinate; in realtà, DMAX è un canale che propone un’interessante gamma di programmi trattanti gli argomenti più disparati, di certo non adatti agli appassionati di torte, matrimoni e gli altri argomenti accennati poc’anzi, ma che comunque possono piacere ad un pubblico più vasto e più variegato, come ad esempio gli appassionati di auto, del collezionismo, del paranormale e, perché no?, anche del cibo, che magari comprenda altri alimenti oltre alle torte. Tanti i programmi che hanno reso celebre DMAX: da Top Gear a Unti e Bisunti (God bless anche Chef Rubio!), dall’incredibile Dynamo ad Affare Fatto, e come non citare anche il programma che meglio rappresenta la sottile linea che separa il paradiso dall’inferno (in termini mangerecci, s’intende), ovvero Man Vs Food, eccetera eccetera. Ma il programma di cui vi parlerò oggi, nonché uno dei miei preferiti, è un programma in cui, in tempi di crisi, si va ben oltre il mero concetto di compravendita: Il Banco dei Pugni. Ambientato nel fatiscente American Jewerly and Loan di Detroit, una delle città col più alto tasso di criminalità degli Stati Uniti, il programma mostra, puntata dopo puntata, tutto ciò che accade all’interno di questo enorme, appariscente negozio, in cui la gente può impegnare e/o vendere diversi oggetti di valore. Il proprietario, Les Gold, dall’immancabile catena d’oro e la giacca di pelle nera, una sorta di Buddy Valastro in versione ghetto king, controlla, dall’alto della sua più che trentennale esperienza nel settore dei prestiti (non dimentica di ricordarlo in ogni singola puntata), l’operato dei due figli, anch’essi impiegati nel negozio, Seth ed Ashley. Premettendo che, essendo figlia unica, sono poco esperta in materia, posso assicurarvi che non si sono mai visti due fratelli più in disaccordo: entrambi pensano che l’altro/a non sappia fare il proprio lavoro, e non dimenticano mai di abbondare con le parolacce durante le loro continue discussioni. Inoltre, nel momento in cui chiedono al padre chi abbia ragione e chi torto… Les se ne uscirà con una delle sue celebri battute: “Qui comando io, ho ragione io!” Ma naturalmente il programma dà il meglio di sé nel momento in cui avviene la contrattazione coi clienti: se, in una piccolissima percentuale, abbiamo clienti che, a malincuore, accettano la modesta somma offerta da Les & Sons (da qui la frase che anticipa sempre il programma: “Cos’hai con te? Una spada? C’è un’incisione sopra…Excalibur?Non posso offrirti più di 5$!“) e vanno via senza tante storie, la maggior parte dei clienti si recherà in negozio per vendere/impegnare un oggetto (che sia un gioiello, un elettrodomestico, oppure un articolo vintage) visibilmente danneggiato o privo di valore. Nel momento in cui gli sarà comunicato che tale oggetto ha valore pari a 0, dalle buone maniere si passerà direttamente all’inferno. Da qui in poi una cascata infinita di insulti, presto interrotti dallo spuntare, come per magia, di una quantità infinita di energumeni, ossia le bodyguard del negozio, (talmente grandi che in confronto il vostro armadio a sei ante Ikea sembrerà uno sgabello) i quali, senza crearsi troppi problemi, solleveranno il/la cliente per trascinarlo/a fuori dal negozio. Importante sottolineare LA cliente, perché le donne non sono esenti da tale trattamento: in realtà, sono proprio le appartenenti al gentil sesso a dare il meglio di sé, minacciando di picchiare Ashley (poiché spesso e volentieri discutono con lei) e di mandare, ai fini di quella che promettono essere un’arma di distruzione di massa, il fidanzato, attualmente quasi sempre in carcere. È palese come tale programma miri più a catturare gli spettatori con le scenate dei clienti, continuamente censurate (avete presente quel fastidioso BEEP? Ecco!), che a mostrare l’operato del negozio. Qualora non gradiate tale cicaleccio, vi suggerisco la versione più “educata” de Il Banco dei Pugni, ovvero Affari di famiglia, sul canale Cielo. Personalmente, continuo a preferire il primo: tra gente urlante, disposta a tutto per avere soldi (anche a tatuarsi il logo del negozio sul ventre), il capofamiglia che non vuol sentire altre opinioni oltre alla sua, e due fratelli entrambi convinti dell’incapacità dell’altro/a… Signori miei, cosa c’è di più esilarante?
Tag:
reality show
“Grande Fratello”, “Isola dei Famosi”, “La Talpa” e poi basta, anche perché inizio ad avere una certa età e inizio a non ricordare tutto. Da più di 10 anni il modo di fare televisione è cambiato come un marito “geneticamente modificato” dopo il matrimonio. Non se la prendano le mogli d’Italia, qui si scherza, si ironizza anche sui reality show. Ho detto quella parolina che da molto, forse troppo, tempo invade la casa degli italiani quanto un’ondata di calore in pieno luglio. Anziani, ragazzi, bambini, fino a pochi anni fa, ogni giorno, ammiravano con grande interesse le situazioni che accadevano in una casa controllata da centinaia di telecamere. E allora, in qualunque ora di una classica giornata, la persona “interessata” si metteva di fronte la tv facendosi i fatti degli altri. Come una comare, ma giustificata perché, nel 2000, il reality show rappresentava quella novità che, anno dopo anno, ha cominciato a stancare. Immaginate una persona che vi stressa da più di 4567 giorni con le solite parole; prima o poi la manderete a quel paese senza nessuna remora con il vostro sistema nervoso che vi ringrazierà a vita. Ecco, forse i vertici di una grande tv, dovrebbero pensare a “chiudere” definitivamente i reality show che sanno di vecchio in modo da dare una rinfrescata ai loro programmi. Alessia Marcuzzi mi perdonerà, almeno spero.
A voi piacerebbe vivere nella monotonia senza nessuna coincidenza, episodi che possono emozionarvi, cambiare la vostra vita? Al sottoscritto, lo dico chiaramente, no. La vita deve sempre essere alimentata con un po’ di pepe (basta che non lo mettiate anche nel caffè la mattina, altrimenti io non mi assumo nessuna responsabilità). Dunque, perché qualche genio del piccolo schermo non s’inventa un nuovo format incentrato su una persona che si è letteralmente rotta le scatole del “Grande Fratello” di turno? Rispetto al passato, “chessò”, il ragazzino 14enne preferisce limonare con la fidanzatina su una panchina del parco, anziché posizionarsi sul divano a “notare” cosa fa o non fa Tizio con Caio o Sempronio. E fa bene per una serie di motivi: 1) non ingurgita cibi che fanno male all’organismo 2) scopre l’effetto del primo bacio 3)sta all’aria aperta e non tra le quattro mura domestiche. Questo ragazzino si potrebbe “spiare” (non a sua insaputa) durante un normale pomeriggio e, in seguito, tirare le somme sulle diversità rispetto a 10 anni fa. Parliamoci chiaro, in queste ore si sta parlando di un “reality sciò” in ambito sportivo formato da Maxi Lopez-Icardi-Wanda Nara. Riparliamoci chiaro, questa storia, soprattutto dopo domenica pomeriggio, ha rotto. E non le scatole.
Chiudete gli occhi e immaginate di vivere in un mondo civilizzato e al passo coi tempi. Fatto?(no, non sono Giovanni Muciaccia) Bene, adesso sottraete a ciò che avete pensato l’elettricità, la tv, la radio, lo scaldabagno e le automobili. No, non siete finiti in un’altra epoca, avete semplicemente ottenuto il significato della parola amish.
Negli ultimi tempi, il canale Real Time ha sfornato ogni tipo di programma: dalle donne che non sapevano di essere incinte alle malattie imbarazzanti, dalle torte a sette piani ai millemila programmi di cucina condotti da Alessandro Borghese (un gran figo, per carità, ma a furia di vederlo in tv il mio istinto omicida non ha fatto che aumentare). E poi, un giorno, in casa Real Time arriva un programma nuovo, intitolato “Breaking Amish: niente sarà più come prima”.
I protagonisti sono cinque, due ragazzi e tre ragazze, vestiti in dubbio stile bucolico ottocentesco, con tanto di cuffiette (per le donne) e camice dalle maniche corte ed esageratamente larghe (per gli uomini), che si spostano esclusivamente col carretto o qualunque altro mezzo trainato da cavalli. Cinque giovani appartenenti appunto alla comunità amish, una comunità dai princìpi religiosi estremamente rigidi, molto diffusa negli Stati Uniti, che comporta uno stile di vita rimasto indietro di un paio di secoli, dove ogni lusso è abolito a favore di uno stile di vita estremamente semplice e dedito al lavoro.
I cinque protagonisti (Abe, Rebecca, Jeremiah, Kate e Sabrina) decideranno di lasciarsi alle spalle le proprie radici per andare a vivere a New York, città degli eccessi, vista dagli amish come simbolo di peccato e corruzione delle anime. Lì, dopo aver provato la dura vita urbana, decideranno se tornare o meno alle loro famiglie, con la consapevolezza di poter essere respinti o, addirittura, banditi dalla comunità.
Il programma, attualmente in onda ogni mercoledì sera, ha subito suscitato la mia curiosità, tanto da commentare ogni settimana con due amiche ogni singolo particolare della puntata, ma è anche uno degli hashtag più popolari su Twitter, il che dimostra che questo stile di vita lontano anni luce dal nostro ha incuriosito in molti.
Per quanto mi riguarda, il mercoledì sera è diventato un appuntamento fisso, davanti alla tv. Tra la spavalderia di Jeremiah, che lo ha spinto a tatuarsi sull’avambraccio un simbolo in stile pubblicità della Simmenthal (quella di “oh mamma, mamma!”), la presenza saltuaria della sorella di Abe, identica in tutto e per tutto a Poldo, il divoratore di panini amico di Braccio di Ferro, e le continue sbronze di Kate e Sabrina, le risate non mancheranno! Tuttavia vi sono anche momenti (non si sa se del tutto autentici o no, considerando che è un programma tv) di serietà, dovuti a momenti di debolezza dei protagonisti, che li hanno spinti anche al dover ricorrere a soluzioni estreme per risolvere i loro problemi (vedi il problema ai denti di Rebecca, o la ricerca del padre di Sabrina).
Sono rimasta piacevolmente sorpresa dalla novità proposta da Real Time. Dopo tutti quei programmi sugli obesi, i matrimoni e le torte che il canale ha proposto a rotazione per anni, abbiamo finalmente la possibilità di affacciarci, con una certa vena di comicità, stupore e incredulità (basta vedere gli atteggiamenti dei protagonisti, o le cose che dicono!), su un mondo di cui raramente, se non addirittura mai, si sente parlare.
Quel che mi resta è solo un dubbio:
perché mai, in una scena al ristorante cinese, hanno inserito come canzone di sottofondo…”La Cucaracha”?
Come esperimento era stato anche bello. Esteticamente, s’intende, e d’altra parte come poteva essere altrimenti con la conduzione di Ilaria D’Amico. Sì, avete capito, stiamo parlando di “Campioni”, il primo e unico reality show sul calcio dove una squadra, il Cervia, divenne praticamente di proprietà di Mediaset con giocatori sottoposti a provini, con Ciccio Graziani come allenatore e pubblico da casa (espressione davvero brutta) come giudice e allenatore in seconda. Settimana dopo settimana, i telespettatori indicavano uno degli undici da schierare nella formazione per la partita successiva costringendo spesso il mister a rinunciare alle proprie certezze.
Pensate se qualcosa del genere dovesse succedere nel calcio che conta con milioni di allenatori da casa che fanno la formazione con l’allenatore ridotto a notaio delle volontà altrui. Pensate a una Nazionale scelta da noi tifosi, un televoto o sondaggio da casa per scegliere i 23 da portare ai Mondiali e un altro per indicare la formazione.
Funzionerebbe? Dovremmo rinunciare alla professionalità di un allenatore a favore di una democrazia del tifoso? E’ un discorso paradossale, ma fino a un certo punto, perché quando cadono i filtri, il rischio è quello di una perdita di valore. Il presupposto che siamo tutti allenatori, siamo tutti politici, tutti esperti di economia è in sé profondamente sbagliato, ma si nutre della mancanza di valore e professionalità di chi ha l’autorità e il ruolo per prendere decisioni.
Se i politici sono corrotti, fermi in giochi di strategia dimostrandosi incapaci cade quel filtro, quella mediazione necessaria per ottenere risultati con la conseguenza che perdono completamente di prestigio e d’autorità con il popolo che intende rovesciare il ruolo. E’ come se alla Juventus non fosse arrivato un Conte, ma fossero rimasti i Ranieri, Ferrara e Delneri. I tifosi non si sarebbero più riconosciuti nell’allenatore e nella propria squadra e avrebbero voluto la panchina.