La copertina del libro “A un passo dalla luna piena” di Massimo Padua mi suggestiona. Per questioni insondabili della psiche umana mi sono ricordato di un episodio accaduto quando avevo circa sei anni. Ero con mia madre, seduto sul retro del suo vecchio califfone, le mani attorno alla sua vita per non cadere, eravamo stati a trovare le sue vecchie datrici di lavori. Era stata una bella giornata primaverile. Stavamo tornando a casa e c’era, sopra di noi, questa luna immensa che illuminava tutto. Mi sembrava che tutto fosse bellissimo, che ogni cosa risplendesse di magia. Poi, l’umidità della sera si fece strada e la luna si velò. Credo di non aver mai più visto una luna così bella.
Quando siamo bambini osserviamo il fiume scorrere, ci piace la placida stabilità dell’acqua, quello scorrere sereno e pacifico verso un luogo che sembra prestabilito. Ma siamo bambini e non ci accorgiamo che sotto la superficie le correnti scorrono vorticose e pericolose.
Massimo Padua racconta quelle correnti.
Massimo Padua racconta la storia di Simone, un bambino di otto anni che vede la vita cambiargli da davanti agli occhi. La madre e il padre non vanno d’accordo. Lei ha un altro uomo, uno che ha un H nel nome dove non dovrebbe esserci. Un uomo che Simone crede non debba esistere. Ma come succede anche nella vita reale nessuno è esente da colpe quando le cose vanno male per cui anche il padre di Simone ha i suoi difetti. Perché i genitori, quando siamo piccoli, tendono ad essere “I genitori”, un ruolo immutabile, una figura mitologica che non può permettersi di avere macchie. Ed invece anche loro sono esseri umani. Massimo Pauda ne “A un passo dalla luna piena” ha anche la capacità di raccontare l’umanità dietro a questo ruolo, l’instabilità, se vogliamo, delle persona che ci fanno da faro nella vita.
Quello che Padua fa, a mio parere, con una sensibilità fuori dal comune, è raccontare il progressivo sgretolamento dell’innocenza a cui tutti, prima o poi, dobbiamo far fronte.
Simone ha dei punti fermi, la famiglia tra tutti, ma questi punti sono mobili come tutto il resto e lui non può controllare nulla del destino degli altri. Può dirsi che è colpa sua se le cose vanno male, ma lo fa perché essendo un bambino ha la tendenza a pensare che il mondo ruoti attorno a lui.
Con una scrittura delicata, con uno stile sincero e introspettivo, Massimo Padua sonda le dinamiche della nostra infanzia constringendoci ad indagare nel nostro passato alla ricerca del momento in cui l’innocenza è svanita per far posto alla vita.
Viene da chiedersi, finita la lettura, che uomo diventerà Simone, quanto impatteranno sul suo carattere e la sua personalità le vicende vissute in questa storia, comprese le “attenzioni” di Jason.
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Uno dei pregi di Fernandel è quello di avere, da sempre, l’occhio puntato sul panorama dei giovani scrittori italiani. Hanno iniziato secoli fa con Morozzi e continuano ad oggi con molte proposte interessanti, alcune delle quali sono già state presentate su questo sito in Fernandel su Senzaudio. Massimo Padua è tra queste proposte interessanti. Lunga vita a Fernandel.
Massimo Padua è nato a Ravenna nel 1972. Ha pubblicato La luce blu delle margherite (Fernandel, 2005 – Premio Opera Prima Città di Ravenna), L’eco delle conchiglie di vetro (Bacchilega, 2008 – Premio Tammorra d’argento) e L’ipotetica assenza delle ombre (Voras, 2009).
È fra gli autori del romanzo collettivo Byron a pezzi (Fernandel, 2008), ed è presente in numerose antologie, tra cui Racconti nella rete (Nottetempo, 2008), Corpi d’acqua (Voras, 2009) e Io mi ricordo (Einaudi, 2009).
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