Un consiglio, non leggete questa recensione. Leggetevi il saggio conclusivo scritto da Paola Del Zoppo. Tutto quello che serve è lì.
Ci sono troppe cose da dire per fissarle in uno schema, a dire il vero abbastanza malleabile, come quello del “Paratesto, testo, coordinate”. Ci sono troppe cose da dire perché questa volta non si stratta di descrivere il buco nello stomaco, ma anche tutte le crepe che si diramano da quel buco.
Quello che fa Frank è sublime, per chi ama la letteratura, non leggere le opere di Frank è un crimine di non poco conto.
Inizialmente pensavo di dedicare una recensione a “L’origine del male” e un’altra ai racconti de “L’uomo è buono”, ma mi sono subito reso che facendolo avrei disgregato il nucleo di questo libro. I racconti qui presenti hanno un unico filo denominatore. Molti vi diranno che parlano di guerra, ed in effetti lo fanno, molti altri vi diranno che parlano del male e anche questo è vero. Quello che però a me sembra il fulcro da cui si dirama la narrazione umana è un altro. L’impossibilità di essere completamente padroni del proprio sé. Ne “L’origine del male” il poeta Seiler arriva a compiere un omicidio. Toglierà la vita ad il vecchio maestro che Seiler incolpa di essere l’origine dalla quale è scaturita tutta la sventura che gli è caduta addosso. Il male, come lo intende Seiler è quindi un peso dal quale non riesce a sgravarsi. Un marchio che lo accompagna per tutta la vita e lo indirizza verso strade dissestate che lo porteranno ad essere povero in canna e derelitto, costretto a chiedere soldi ad una prostituta per compiere il viaggio verso casa che metterà fine alla propria vita. La narrazione di Frank è eccellente, dipinge con maestria le sfumature dell’animo umano, la dannazione che Seiler sente su di sé, l’odio represso per il maestro che improvvisamente esplode in un lampo di pazzia. Inoltre, le ultime pagine sono tra le pagine più cariche di pathos che io abbia mai letto (e sì, ho letto abbastanza da poter scrivere questa frase senza suonare ridicolo). Le ultime ore di Seiler sono qualcosa che vi resterà nella memoria per lungo tempo.
La seconda parte del libro, “L’uomo è buono” raccoglie alcuni racconti di Frank che ruotano attorno alla tematica chiave della Guerra. Del conflitto. “Il padre”, “La vedova di guerra”, “La madre”, “Gli sposi”, “I mutilati di guerra”, già dai titoli di questi racconti si riesce a percepire l’unità dell’opera. Frank affronta l’assurdità del conflitto, il combattere per ideali che non hanno nulla di razionale e che ci fanno scendere al livello della più schifosa delle bestie. Verrebbe voglia di pensare che ad un secolo di distanza dalla prima guerra mondiale l’umanità sia stata in grado di fare qualche passo avanti dal punto di vista dell’evoluzione sociale. Purtroppo ciò non è accaduto e viene quasi da ringraziare che Frank sia morto nel 1961 e non abbia testimoniato oltre la bizzarra capacità dell’essere umano di frantumare se stesso e ridursi ai minimi termini. Tra questi racconti, “Il padre” è quello che mi ha colpito di più e credo che sarà sempre nella mia mente ogni volta che mi porrò il problema di come educare mio figlio.
Quando si parla di piccoli editori non ci si rende mai conto del grosso lavoro che c’è dietro un libro pubblicato. Del Vecchio sarà anche un piccolo editore, ma è un piccolo editore che sa il fatto suo. Se ci si lamenta che nel mondo dell’editoria non c’è programmazione sappiate che sono già previste due ulteriori uscite su Leonhard Frank. Una nel 2015 e l’altra nel 2016. Il secondo volume di questa “trilogia” erode la concezione classica dei rapporti amorosi e insieme esalta l’amore come un “guardare insieme al di là e in una direzione” e sul terzo… tutte la narrativa più breve, sviluppa amore e società come in un caleidoscopio di altri soggetti. (il corsivo riprende alcune rivelazioni di un insider che desidera mantenere l’anonimato per paura di ripercussione da parte dell’industria del tabacco).
Ora sto per sbilanciarmi. Un libro così, con questa potenza, questa profondità, ha bisogno, anzi, esige, un traduttore in piena sintonia. Un traduttore che capisca il libro ad un livello molto più intimo di quanto possa fare un semplice lettore. Un traduttore che viva il libro, lo abiti. Io credo che Paola Del Zoppo abbia tutti questi requisiti e anche di più. Se non foste convinti della cosa vi consiglio di andarvi a leggere il saggio finale che sarebbe degno di pubblicazione a sé stante e anche la piccola e breve chiusa de “La scatola nera del traduttore”. Ovviamente, se, come mi auguro, leggerete “L’uomo è buono” non vi servirà arrivare fino in fondo per capire cosa intendo. Per capire di cosa parliamo quando parliamo di simbiosi.
Dal sito di Del Vecchio prendo a prestito le note bibliografiche su Leonhard Frank.
NASCE A WÜRZBURG NEL 1882 da una famiglia umile. Frequenta la severissima scuola evangelica, in una regione e una città di storia e cultura radicalmente cattoliche, e dopo il diplomadi artigiano si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Monaco per diventare pittore.
Nel 1910 interrompe la propria formazione per recarsi a Berlino. Frank è una presenza costante nei Caffè e nei circoli artistici, ma non vuole essere parte di nessuna cerchia: ritiene che ogni sistema sia finalizzato al mantenimento del potere e che in ogni cerchia si rischino dinamiche di sopraffazione. Riconosciuta la propria vocazione, dopo alcuni brevi racconti, dà alle stampe il suo primo romanzo, che vince subito il Premio Fontane. “Pacifista della prima ora”, si rifugia in Svizzera durante la Prima Guerra Mondiale, dove stringe amicizia con Alvarez del Vayo e frequenta gli artisti del Dada e gli scrittori engagé. Tornato in Germania, è controllato dal regime nazionalsocialista e costretto di nuovo all’esilio. Nel 1933 si sposta in Inghilterra, poi in Francia, dove viene internato nei campi di lavoro, poi finalmente riesce a fuggire in America nel 1940. Si stabilisce a Hollywood, scrive per la Warner Bros. e frequenta Thomas Mann, Franz Werfel e gli intellettuali tedeschi ormai di casa in California. Infine si sposta a New York e poi torna in Germania, nel 1950. Ma l’accoglienza non è gloriosa quanto meriterebbe, e decide di spostarsi a Berlino Est, dove può contare sull’apprezzamento dell’amico Johannes Becher. Muore a Monaco nel 1961.