E’ tipico dell’italiano guardare con sospetto chi eccelle in un campo cercare di far fortuna anche in altri settori. A volte, sia chiaro, il passaggio da una parte all’altra è tragico, meriterebbe quasi una punizione corporale. Ci sono però dei casi in cui una persona è baciata dalla fortuna e dotata di talento in più di un campo.
E’ il caso di Gene Wilder. Attore americano che ricorderete per alcuni film cult come Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato (nella versione degli anni settanta) o Frankestein Junior (ma ovviamente si pronuncia Frankestiin).
Wilder si cimenta ormai da qualche anno anche nella letteratura. Lessi un paio d’anni fa la sua autobiografia e la trovai deliziosa. Lo scorso salone del libro di Torino incappai nello stand di “Sagoma editore” e, lo ammetto, colpito dalla copertina, compraii “La mia puttana francese”. Dopo qualche mese sono finalmente riuscito a prenderlo in mano e alla mia titubanza iniziale, vizio di quel pregiudizio di cui parlavo sopra, si è sostituito il puro piacere della lettura.
La storia è quella di Peachy, un americano mediocre, che recita per hobby a Broadway e che di lavoro fa il controllore sui treni. Improvvisamente decide di lasciare la moglie con cui non è felice (infelicità ricambiata) e arruolarsi. E’ il 1918 e la prima guerra mondiale è agli sgoccioli. Viene inviato in Europa e finisce subito in un conflitto a fuoco in cui i suoi due migliori amici muoiono. La vita però è strana e Peachy verrà accolto a braccia aperte dall’esercito tedesco. Solo che a quel punto il suo nome sarà Herr Harry Stroller, sarà una spia e sarà innamorato di Anne Breton.
Gene Wilder racconta una storia d’amore dolcissima incastonata nel pieno della barbara guerra. Il rapporto tra Peachy/Stroller e Anne Breton diventa ancora più luminoso se paragonato al buio dell’intelletto della guerra. Wilder racconta con un tono dolce e soffuso, una tonalità pastello. E’ impossibile non immaginarsi il soldato Paul Peachy con le sembianze del nostro vecchio Gene, è impossibile non parteggiare per lui e non farsi coinvolgere. Wilder è un ottimo narratore, “La mia puttana francese” non è un libricino buttato lì a tempo perso tra un film e l’altro, è una vera opera nata dalla passione.
Il catalogo di Sagoma Editore è ancora in divenire, i titoli pubblicati sono pochi ma sono tutti, a mio parere interessanti, io per quello che mi riguarda oltre a questo libro di Wilder ho già letto la sua autobiografia, l’autobiografia di Jerry Lewis e la biografia di Marty Feldman. Tutte ottime letture. Ora non mi rimane che affontare gli altri due libri di narrativa di Wilder.
La traduzione di questo volume è ad opera di Alessandra Olivieri Sangiacomo.
Come si legge nella sua splendida autobiografia Gene sceglie come cognome Wilder perché non si vede a recitare l’Amleto come “Jerry Silberman”. Negli anni Sessanta passa a pièce più importanti – come Qualcuno Volò sul Nido del Cuculo con Kirk Douglas – e muove i primi passi sul grande schermo. Il boom arriva nel 1968 con The Producers (da noi rinominato Per Favore, non Toccate le Vecchiette) che gli vale una nomination all’Oscar. La regia è di Mel Brooks, l’amico di una vita, un sodalizio che si cementa con Mezzogiorno e Mezzo di Fuoco(1974) e Frankenstein Junior (1974), l’acme del duo. Nel suo curriculum anche l’oscura contro-favola Willy Wonka e la Fabbrica di Cioccolato (1972) nei panni dell’enigmatico impresario dolciario. In Wagons Lits con Omicidi, del 1976, Wilder esordisce in duo con Richard Pryor, insieme al quale sbancherà più volte i botteghini negli anni a seguire. Gene perde prematuramente l’amata moglie Gilda Radner, comedian straordinaria che si spegne nel 1989.