Paratesto:
C’è una certa sobrietà nella copertina de “Il testamento dei fiumi”, una scelta azzeccata, un voler lasciare la parola alle pagine, ma se siete come me, ogni tanto, tra una riga e l’altra, a quella copertina ci tornate. Ci tornate perché nell’assenza che viene palesata sin dall’inizio, in quella cornice senza quadro, c’è tutto il lavoro di creazione di Moncada.
Testo:
Ad un certo punto, un paese, è sul punto di morte e inizia a raccontare se stesso. Ecco cosa leggerete se deciderete di comprare “Il testamento dei fiumi” di Moncada, leggerete la storia di un paese dal destino segnato che sul punto di sparire inizia a raccontare se stesso attraverso le vite delle persone che lo hanno abitato.
Ed è fantastica l’atmosfera che Moncada riesce a creare. Con una scrittura barocca e pulsante riesce a tessere una trama fittissima, un romanzo corale in cui le voci assumono tutte la stessa dignità. E allora mi perdonerete se vi confesso che mi sono perso dentro le spire di questo libro come quando d’autunno mi perdo nella nebbia veneziana, quella nebbia che vedi arrivare avanti compatta, l’osservi da lontano e sembra un fronte unico e poi, d’improvviso ci sei dentro.
Arquimedes Quintana, Camil-la, il salone delle vergini martiri, la famiglia Torres i Camps e centinai di altri “attori” vengono alla luce a poco a poco, come note di uno spartito di cui si riesce appena ad intravedere la fine. E’ incredibilmente appagante, come lettore, vedere la storia personale integrarsi con la Storia solitamente definita con la esse maiuscola.
Moncada è (purtroppo non è più vivo, ma la sua maestria è presente e viva) un direttore d’orchestra coscienzioso che rende partecipe alla storia ogni singolo elemento.
Come dicevo, mi sono perso nelle pagine de “Il testamento dei libri”, mi ha ricordato grandi epopee familiari (Marquez, Allende e altri), non nello stile che, beninteso, è quanto di più personale uno scrittore possegga, ma nella capacità di dipingere un ritratto (e la parola ritratto non è casuale come chi leggerà il libro comprenderà) dai colori brillanti e dare voce al canto di un paese morente che come unica eredità ai posteri può lasciare la memoria degli esseri umani che hanno calcato il suo selciato.
Coordinate:
Vi dovrei dire, per fare bella figura, che conosco la casa editrice Gran Via da anni e che sono un loro affezionato cliente. Ma non vale la pena mentire, preferisco spendere le mie bugie per questioni più terrene. Dirò quindi che fino a qualche mese fa non sapevo nulla di loro e che ora, dopo aver letto Moncada e il suo “Il testamento dei fiumi” avranno un posto d’onore sulla mia libreria. Perché chi riesce a pubblicare un libro del genere ha tutta la mia stima. E’ poco cosa, lo so, ma è quanto di più prezioso un lettore possa dare, anche più prezioso del prezzo di copertina.
Complimenti a tutti quelli che lavorano a Gran Via, non so chi siano o quanti siano, ma davvero, complimenti. Ah, complimenti anche per aver messo il nome del traduttore sulla copertina.
Jesús Moncada (Mequinensa, 1941 – Barcellona, 2005) è autore di tre romanzi e tre raccolte di racconti. Il testamento dei fiumi è unanimemente considerato uno dei romanzi più importanti, e più tradotti, della letteratura catalana contemporanea.
A Simone Bertelegni, traduttore di questa opera, vanno tutte le mie più sincere congratulazioni. Se, da lettore, perdersi nei meandri della costruzione di Moncada è un piacere, da traduttore la cosa deve essere stata quanto di più vicino ad un incubo si possa immaginare.
La grafica è stata affidata ad una persona che conosco da una decina d’anni pur non avendola mai incontrata. Per questioni relative al destino, le nostre strade si sono incrociate virtualmente più volte, ma non hanno mai portato ad un incontro vis-a-vis. La persona si chiama Mirko Visentin, è uno bravo, ma se ve lo dico io poi magari dite che lo faccio solo perché altrimenti mi viene a spezzare le gambe. Quindi, giudicate da soli.