Si dirà che il pessimismo non aiuta a migliorare la realtà, ma si può tranquillamente affermare che minimizzare le reali condizioni dell’economia italiana non sia altrettanto salutare. Anzi, sarebbe da ipocriti oppure da milionari che, fortuna loro, non subiscono gli effetti di una morsa che attanaglia sempre più.
Il lavoro nobilita l’uomo, si dice, ma soprattutto senza lavoro si fa fatica a vivere. Non si può progettare, non si può pensare in grande, non si può mettere su famiglia. Non si ha respiro. Trentacinque fallimenti al giorno, tre aziende muoiono ogni due ore, perché non ci sono soldi e i consumi crollano di anno in anno. Molto semplice, i creditori, altri aziende, non riescono a pagare, mentre lo Stato ha appena ricominciato a saldare i propri debiti nei confronti delle imprese italiane. E’ quanto fotografa Unioncamere nel suo ultimo rapporto che fissa in statistiche i numeri della crisi, un tunnel da cui non si riesce ancora a uscire, un baratro da cui non si riesce ad allontanarsi innescando la retromarcia.
Nord – Centro – Sud, Est – Ovest, le difficoltà economiche toccano tutti, se è vero che il 10% dei fallimenti di cui sopra avvengono a Milano, la capitale economica dell’Italia. E proprio nei pressi del capoluogo lombardo, a Meda, vicino a Monza, un ragazzo di 26 anni si è suicidato, perché il lavoro non si trovava e non è riuscito a sopportare la situazione. Un caso limite, vero, ma che non va sottovalutato. I problemi dei giovani sono quelli di tutti, perché perdere una intera generazione sarebbe un dramma dalle conseguenze imprevedibili. Creare posti di lavoro, non salvaguardare solamente l’esistente rappresenta la sfida della politica e di tutti gli attori in scena.