Si sa, il Giappone è una di quelle Nazioni fantasiose, con le novità sempre all’ordine del giorno. Vabbè, fino a qui nulla di strano, anche se alcune tendenze potrebbero far discutere da oggi fino a Natale 2016. Non sono qui per parlare di questo, comunque, anche perchè ognuno può fare ciò che vuole, tanto al massimo può essere criticato e basta. Parlo di una moda, strana, ma che sta sta iniziando a essere famosa. L’oculolinctus è quella cosa che fa pensare. Già lo stesso sostantivo fa capire che è l’occhio ad essere al centro della discussione e di questo articolo, scritto nel cuore della notte e con 3455 ore di sonno arretrato. Veniamo a noi: in Giappone si leccano gli occhi. Si, avete capito bene. Molti ragazzi, specialmente le coppie, poggiano la lingua all’interno dell’occhio per pura moda giovanile nata intorno al 2006. Il tutto può, come sempre, causare danni all’occhio “incriminato”: se una persona non ha lavato la sua bocca, potrebbe mettere acido da agrumi o spezie nell’occhio, dice l’esperto in materia. Io, mi limito a commentare con un: bah. Alla prossima.
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In economia per valore di mercato si intende, in linea generale, il controvalore di un bene nell’ambito della compravendita dello stesso. Esso è pertanto determinato in primis dal valore materiale del bene stesso, corretto da altri fattori quali, ad esempio, la legge della domanda e dell’offerta, ed in secundis dalla volontà del compratore di acquistare e quella del proprietario del bene di vendere.
Nella vita di un essere umano e, ancor di più, nella vita di un essere umano bambino il valore delle cose segue parametri di quantificazione ben diversi, oggetti di scarsissimo valore oggettivo acquistano prestigio inestimabile per motivi ignoti a tutti tranne che al proprietario.
Un cuscino logoro, un aereo di carta in decollo verso fantastiche avventure, il rumore che fa la pioggia di domenica mattina, quando la scuola è chiusa e si può rimanere a letto, sembrano essere tesori preziosissimi da custodire gelosamente.
Miki Hasegawa, fotografa giapponese nata nel 1973, ha raccolto i tesori di sua figlia nelle serie Jewels guadagnandosi il bene più caro che un essere umano adulto possa desiderare: “Le cose che sembravano ordinarie per un’adulta come me diventavano dei “tesori” agli occhi di mia figlia. Per questo ho iniziato a fotografare in molte occasioni i suoi “tesori”, dal suo punto di vista, e ho immediatamente sentito un collegamento più forte con lei.”.
Ormai non mi meraviglio di niente, figuriamoci quando leggo tendenze che potrebbero far rimanere di sasso tutti, ma non il sottoscritto, ormai abituato a scrivere di tutto. Imbattendomi per il web, ho conosciuto la parola Bagel head. Ecco, tutti si staranno chiedendo “Ma che caspita è quella parola che abbiamo appena letto?”. Semplice, dall’inglese, il sostantivo assume il significato di testa a ciambella. Si, avete capito bene: una testa a forma di ciambella o una ciambella a forma di testa (ok, evitiamo altre battute). Dal lontano 2007, adesso sono serio come quando ho sostenuto l’esame di stato, il Bagel head è una tendenza che ha avuto, e sta avendo, successo in tutto il mondo. Nata in Canada, grazie a Jerome Abramovitch, “la testa a ciambella” successivamente fu importata in Asia, precisamente in Giappone da Keroppy Maeda (non mi dite chi è). Il Bagel head è, in soldoni e senza tanti giri di parole, una sostanza modificata che viene iniettata sulla fronte delle persone che intendono “sottoporsi” a questo trattamento, con risultati uguali alla ragazza che notate nella foto. Questa sostanza viene assorbita dalla pelle che, infiammata, può essere modellata a piacere (in questo caso si forma una ciambella). Ecco la storiella del Bagel head. Io, però, le ciambelle le mangio, mica me le faccio disegnare sulla fronte.
Ho sempre nutrito una tenera stima per gli amanti del puzzle, la pazienza e la caparbia necessarie per trovare l’incastro perfetto delle cose è un’arte che non si può comprare.
Ho sempre ammirato tutti quelli che «Un tassello non ha alcun significato se non quello che assume contestualizzandolo», oppure «un individuo senza la sua controparte è solo una metà.». Ho invidiato poi chi se ne infischia del quadro generale sciogliendosi per un minimo particolare.
Più di qualsiasi altro però ho amato quelli con un doppio occhio, uno per vedere vicino e l’altro per vedere lontano, uno che ti mostra la goccia, l’altro che ti mostra l’oceano, più di qualsiasi altro ho amato quelli come Yusuke Sakai , fotografo giapponese che ti fa esclamare:
«Quella è’ davvero una faraona?»
Conoscete un accessorio, un indumento sempre alla moda? Io si, tanti, ma oggi vorrei soffermarmi sulle infradito. Comode, non comode, da anni la popolazione mondiale discute, soprattutto nei mesi estivi su questo quesito. Le infradito nascono nei secoli scorsi, sono antichissime, tanto da essere usate nell’antica Roma e in Grecia. Il loro lancio nel commercio, invece, è avvenuto in Giappone, nel quale rappresentano le calzature usate tutti i giorni. Lì, nel “Sol Levante”, si chiamano in due modi, zōri e waraji, indossate con le tabi, un paio di calze molto rinomate in Asia. C’è chi, tra podologi e semplici cittadini, si interessa sulla salute di queste “ciabatte”. I primi lamentano una scarsa attenzione verso i problemi che le infradito possono causare, mentre il resto della popolazione bellamente, se ne frega perché “sono comode, ariose e molto pratiche”. Stando a dei sondaggi su vari portali internet, tuttavia, esiste una buona percentuale che userebbe le infradito solo a casa, evitando luoghi pubblici per paura di contrarre malattie. In Italia, comunque, la tendenza del momento, almeno guardando alcuni cittadini, è ricercata nelle calze con le infradito. Una sorta di Giappone 2, ma se nel Paese asiatico tutto questo non provoca “fastidio”, da Trieste in giù non si può certo dire la stessa cosa. Fatto sta che le infradito, da tanti anni a questa parte, vengono considerate come le calzature “spartiacque” della stagione estiva. E pazienza se qualcuno preferisce abbinarle con delle calze di color carne o bianche. Le aziende di calzature, ogni stagione che passa, fanno affari d’oro con buona pace di chi, come in Australia, preferisce camminare a piedi nudi…
10 personaggi famosi che si sono fatti pagare per fare pubblicità in Giappone
by senzaudio
written by senzaudio
Ve lo ricordate “Lost in Translation” di Sofia Coppola? Quel film che inizia sul fondoschiena di Scarlet Johanson racconta anche un’altra cosa. Racconta la storia di Bill Murray, attore ormai a fine carriera, che viene ingaggiato da una ditta Giapponese come testimonial pubblicitario per una marca di Whiskey. All’epoca pensai che fosse una boutade della regista, una specie di metafora per definire la fine della carriera di un artista, il fatto che sta perdendo il suo posto nel mondo.
Invece, scoprii in seguito che erano davvero tantissime le star di livello mondiale che prestavano la propria immagine per pubblicizzare prodotti del sol levante. Personaggi che noi siamo abituati a vedere nei film o su un campo da calcio che di fanno pagare profumatamente per diventare la faccia su un prodotto.
Niente di male. Ma quando il personaggio famoso incontra lo stile visionario dei giapponesi, ne succedono delle belle.
Ecco 10 pubblicità che popoleranno i vostri incubi.
1) L’ex arbitro collina che si gode un piatto di Takoyaki (polpettine). C’è la genialità del regista che con trucco e luci fa diventare la testa di Collina un enorme Takoyaki. C’è Collina che parla in giapponese e un po’ ci chiediamo come abbiamo fatto a fargli arbitrare una partita.
2) Ben Stiller e la bibita. Un campo da Football Americano, una squadra di colossi e delle cheer leaders. E soprattutto la faccia di Ben Stiller che riesce a sorridere solo pensando a quanti soldi gli hanno dato. E’ pure doppiato, non ha nemmeno fatto lo sforzo di imparare due frasi in giapponese.
3) Peter Falk e Godzilla. Il compianto tenente Columbo diventa per il popolo giapponese un affabile barman che è costretto a servire un bicchiere di Whiskey a Godzilla. Immagino che si debba anche sorbire le sue chiacchiere depresse per non essere riuscito a radere al suolo la città.
4) Van Damme e le gomme da masticare. Siamo davanti ad una vera e propria serie di spot in cui il nostro eroe, secondo solo a Chuck Norris, ci spiega perché solo quella determinata marca di gomme da masticare può dargli la scossa. Riuscissero anche a farlo recitare meglio sarebbero miracolose.
5) Bruce Willis e l’energia. Lo spot non ha nulla di particolare. Una squadra di Football che durante l’intervallo dimostra di non averne più. Bruce Willis, travestito da Ghostbuster irrompe inciampando nello spogliatoio e li ricarica di energia. Ecco, credo che lo sguardo finale di Bruce valga la visione di questo breve spot.
6) Arnold Shwarzenegger e l’energy drink. Pare che uno dei prodotti da pubblicizzare che richiede il maggior impiego di attori famosi siano le energy drink. Qui ci troviamo di fronte ad una serie di spot il cui protagonista è il buon Arnold. Non vi rovinerò la sorpresa, Arnie viene conciato in modo indegno dai costumisti, ma una è una la cosa che è maggiormente degna di nota: Schwarzenneger parla giapponese allo stesso modo in cui parla inglese.
7) Messi e la crema da viso. Ma chi è quel ragazzo giovane ricoperto di crema su tutto il viso. Ma è Messi! Sì, proprio quello che viene paragonato ogni giorno, weekend compresi, a Maradona. Devono averlo pagato proprio tanto, uno che di rado parla anche a casa sua, in questo spot si lancia addirittura con un paio di frasi in giapponese. Chissà che ha detto, magari qualcosa contro Guardiola.
8) Harrison Ford e Uncharted. 30 secondi. Non apre bocca. Gioca con la playstation 3, gioca ad Uncharted 3. Ma diavolo, dico io, non potevano chiamare me! Lo facevo quasi gratis. P.S Harrison, fatti prestare la crema da Messi che mi sa che ne hai bisogno.
9) Ringo Starr e la bibita alla mela. Questa ve la segnaliamo solo per un motivo. Bastano pochi momenti di poca lucidità per mandare a ramengo una carriera gloriosa. Forse bisognerebbe porre un limite alla ricerca di denaro, la dignità ne gioverebbe.
10) Michael Jackson e lo scooter. Lo ammettiamo, ogni volta che ascoltiamo una canzone di Michael Jackson ci si stringe un po’ il cuore sapendolo ormai tra i più. Certo, una pubblicità del genere non ce lo farà amare di meno, ma di sicuro ci porrà davanti ad un interrogativo. Quanto diavolo l’hanno pagato per ballare e flirtare con uno scooter? Poi ci sarebbe la modella, ma quella temiamo non contasse.