Paratesto:
Alcuni occhi mi osservano dalla copertina, sono occhi colorati ed ognuno vede il mondo in maniera diversa. Sono come gli occhi dei protagonisti di questo libro, coinvolti a diverso titolo nella tragedia umana che fa da sfondo alla storia raccontata, ci forniscono una versione dei fatti diversa, che possiamo dire si complementa, ma che rimane sempre incompleta. Perché l’occhio importante non c’è. E’ sul retro della copertina. Ed è chiuso.
Testo:
Siete in spiaggia, con vostro figlio, lui prende la paletta e inizia a fare un buco in terra, dopo un po’ vi chiama perché le pareti non stanno su, la sabbia tutto intorno scivola lentamente verso il fondo della buca. Non c’è soluzione gli dici tu, è la forza della gravità gli dici.
Ne “I passanti” il fondo del buco è uno stupro e la forza di gravità agisce sulle persone che vivono sull’orlo del baratro.
Non abbiamo testimonianza diretta del fatto tragico da parte di chi l’ha subito. Possiamo solo intuire cosa ha subito, ma non possiamo sapere come vive l’esperienza tragica. Quindi, il problema, per il lettore sta nell’avere un personaggio che in realtà non c’è, collocato affianco alle due voci narranti. Quella della vicina di casa che non ha sentito nulla e quello dello stupratore.
Un primo sforzo lo fa chi cerca di comprendere Claire, la donna che ha subito lo stupro, dalle parole degli altri due. Chi è Claire, cosa fa nella vita, perché le è successo un fatto così grave, che ne sarà di lei?
Poi le complicazioni aumentano. Un duplice monologo interiore ci accompagna a ping pong tra i pensieri della vicina di casa e quelli dello stupratore. Pensieri che si alternano, che si frammentano e si incastrano gli uni in quelli dell’altro. Scopriamo che la vicina di casa non ha sentito nulla perché aveva le cuffie e stava ascoltando della musica, la stessa musica che potrebbe darle un futuro migliore. E quindi? per avere un futuro migliore bisogna ferire gli altri, anche inconsciamente? Scopriamo che lo stupratore è un essere umano, che ha avuto un passato normale, che a tratti nemmeno lui sa perché ha fatto quello che ha fatto, forse perché era stanco di non essere visto, forse chissà. Ha mille linee di pensiero che si ingarbugliano, frasei spezzattate, questioni lasciate aperte, discorsi non finiti. Mauvigner è bravissimo a dare il ritmo del pensato, a ricreare quell’irregolarità di percorso che è tipica del nostro cervello.
E’ che ad un certo punto i pensieri sconnessi di una e dell’altro tendono ad avvicinarsi, ad attrarsi quasi, e successivamente ai pensieri si iniziano ad attrarre anche le due persone. Lui, riperccore i luoghi che lo hanno portato allo stupro, quasi a volersi convincere che ciò che è avvenuto è avvenuto davvero e l’ha fatto lui. Lei per estraniarsi da un angolo di universo in cui sembra che lo stupro subito dalla vicina diventi un valore aggiunto per lei, perché ha qualcosa da dire alle sue avventure occasionali, perché il non aver sentito nulla è una colpa che comunque la rende interessante. Perché anche questa è una colpa.
Poi c’è una questione personale, di chi legge il libro, io, per inciso. Per quanto Laurent Mauvigner abbia fornito un ritratto dello stupratore “umano”, raschiando dentro alla sua testa alla ricerca di un motivo, forse di una giustificazione, io non ho permesso che questo processo di umanizzazione si compiesse. Ho maturato un certo disprezzo nei suoi confronti e, aggiungo, una certa antipatia per la vicina di casa.
La cosa più toccante, secondo me, è l’aver, ad un certo punto della lettura, formulato un pensiero di senso compiuto in cui mi chiedevo, senza troppi giri di parole, se fosse giusto che gli altri continuassero a vivere in quel modo mentre Claire era altrove a portarsi appresso un peso indicibile. Non ho una risposta a questa domanda. Nemmeno “I passanti” mi hanno dato una risposta.
Coordinate:
Sei in un pub, sei mezzo ubriaco, non del tutto, giusto a metà, la direzione da prendera da adesso in poi spetta a te. In un angolo c’è un capannello di persone. Stanno tutte li rivolte verso la parte. Sulla parete c’è il classico bersaglio del tiro a freccette. C’è un tizio al centro del gruppetto, ha lui in mano le freccette colorate. Tu che sei brillo, lo osservi mentre carica il tiro e fa centro. Si prepara ancora una una volta, alza il braccio, lo getta in avanti e lascia andare la freccetta che si inchioda al centro per la seconda volta. Tu sei brillo, come si è detto, quei lanci non dipendono da te, da nulla che tu possa fare, però tu vuoi che quel tizio magro e con pochi capelli faccia centro per per terza volta, ne hai bisogno, perché ti fidi di lui e siccome non ti capita spesso di fidarti di qualcuno, vuoi che la terza freccia vada a segno come le due precedenti. Il tizio rigira la freccetta rossa tra le dita, sospira, con la sinistra prende la pinta di Bombardier e beve un lungo sorso, appoggia il bicchiere, torna in posizione di lancio, scocca la freccia numero tre. Centro.
Del vecchio edizioni è quel tizio magro con pochi capelli.
La traduzione è nelle mani di Angelo Molica Franco. Voi non avete idea di quanto abbia voluto che la traduzione fosse fatta bene. Perché quando hai conosciuto una persona e ti è stata simpatica ti rompe terribilmente fare una critica negativa. Gliela fai magari, ma ti scoccia, gliela fai quando sono passati dei mesi che vi conoscete, ma non subito. Ho avuto fortuna, la traduzione mi è sembrata naturale, senza forzature, quasi come se il libro fosse nato in italiano. Non era facile tradurre questo libro, un po’ per la storia in sé, ma soprattutto per lo stile di Laurent Mauvigner. Una scrittura che fonda il suo potere sull’incompleto, sul non detto, su ciò che viene lasciato sospeso, sui vuoti che il lettore deve riempire per dare senso al tutto. Forse, più che tradurre quello che è stato scritto, la bravura del traduttore sta nell’aver “tradotto” i vuoti.
Angelo Molica Franco poi ne “La scatola nera del traduttore” ci spiega anche come l’ha affrontata questa traduzione e ci tira anche un bello scherzo che non vi racconto per non rovinarvelo. Sappiate che ho scoperto che c’è della genialità anche nelle note a piè di pagina.
Ultima cosa, AMF cura un blog sul mondo dell’editoria legato al sito principale della Del Vecchio, fateci un salto, ci sono letture parecchio istruttive. http://www.senzazuccheroblog.it
Mauvigner è un autore di cui non posso parlare perché ho letto solo questo libro e se vi parlassi di lui come se fossimo stati a scuola assieme mentirei sapendo di mentire. Sarebbe come tradirvi. Lo faccio spesso quando mi capita di leggere un libro di qualcuno di cui ignoravo l’esistenza, prendo le informazioni direttamente dal sito internet della casa editrice che l’ha pubblicato.
NATO A TOURS NEL 1967, LAURENT Mauvignier è uno degli scrittori francesi contemporanei più apprezzati dal pubblico e dalla critica. Laurent comincia a scrivere all’età di dodici anni, durante un ricovero in ospedale. Più tardi si dedica alla pittura ottenendo anche un posto all’Accademia di Belle Arti, ma al termine degli studi non riesce a superare il concorso di abilitazione all’insegnamento. Si volge così nuovamente alla letteratura, scrivendo in breve tempo tre romanzi, tra cui Lontano da loro (Loin d’eux) sarà la sua opera prima. Il secondo romanzo pubblicato, La camera bianca (Apprendre à finir), insignito del PRIX WEPLER e del PRIX DU LIVRE INTER nel 2001, lo consacra come giovane promessa della letteratura francese contemporanea. L’anno seguente, nel 2002, Mauvignier dà alle stampe questo amaro I passanti (Ceux d’à côté), e in seguito Plus sale (2003), Seuls (2004), Le lien (2005), Dans la foule (2006), che gli è valso il PRIX FNAC, e Des hommes (2009). Tranne Plus sale, pubblicato da Inventaire–Invention, tutte le sue opere sono state pubblicate da Les Éditions de Minuit. In Italia, sono già usciti per Zandonai La camera bianca (2008) e Lontani da loro (2009), per Feltrinelli Degli uomini (2010) e Storia di un oblio (2012).
P.S. ci si può innamorare di un libro? Dell’oggetto intendo? Sì, si può. Soprattutto se la qualità della carta è al di sopra della norma, se quando lo apri fa i rumorini giusti, se ti invita a sfogliarlo e ti da una sensazione di compattezza. Ma il colpo di fulmine scocca quando posi lo sguardo sulla copertina di Maurizio Ceccato (Ifix design). Ultimamente lo sto vendendo un po’ ovunque e la cosa non mi dispiace.