Premettendo che trovo la Confederations Cup un torneo inutile e dannoso, visti i già tanti impegni che i giocatori hanno durante l’anno (e visto che ogni tanto forse potremmo anche a fare e meno del calcio), mi asterrò dal raccontare fatti strettamente calcistici. Non commenterò le partite, per questo ci sono già i commentatori Rai o Sky, non vi parlerò dei gesti tecnici dei campioni presenti sul campo.
Quello che farò e raccogliere in una lista non ragionata alcuni dei fatti, degli aspetti e dei personaggi che ci hanno tenuto compagnia in questi giorni.
1) Tahiti: 24 goal presi in tre partite, media di 8 reti subite, 10 solo dalla Spagna…eppure questi ragazzi abitanti di un isola meravigliosa hanno lasciato il Brasile con il sorriso tra le labbra, regalando collane propiziatorie agli avversari, contendendosi la maglia di Iniesta, giocando al massimo delle loro possibilità e senza rimpianti. Forse il calcio non dovrebbe essere una storia da libro cuore, ma ogni tanto, solo ogni tanto, un pizzico di sano romanticismo non farebbe male. P.S tanto per rimettere i piedi a terra, Tahiti porta a casa 1.700.000 dollari. In pratica sono 70.000 dollari per ogni goal preso.
2) Neymar: Il giocatore che l’anno prossimo passerà al Barcellona ha dimostrato colpi da vero fuoriclasse, ma anche una difficoltà cronica a restare con i piedi ben piantati per terra. Ora, ho sentito pronunciare la parola simulatore, io, che ancora mi attacco al romanticismo di cui sopra mi permetto di ipotizzare che forse si tratta solo di un problema a gestire la forza di gravità.
3) Gli scontri: Il popolo che si prepara ad accogliere i mondiali del 2014 è anche il popolo che vive in condizioni precarie. Senza scomodare le favelas che ormai sono diventate il simbolo di una certa povertà brandizzata, mi limito a dire che prima di pensare al calcio e prima di investire in infrastrutture di quel tipo bisognerebbe analizzare la situazione dei cittadini. Il calcio in Brasile è una religione, ma accanto alla religione serve il pane.
4) Altafini: Io me lo ricordavo come voce di commento ad una vecchia edizione di Fifa novanta e qualcosa. Ha cercato, come seconda voce Rai, di supplire alla completa mancanza di verve di certi commentatori, purtroppo per lui il calcio in Italia è una cosa terribilmente seria. Pure Eraldo Pecci provò a portare l’umorismo nelle reti Rai. Fallì.
5) Holly e Benji: Quell’insopportabile abitudine italiana di parlare per stereotipi e voler rendere gli altri macchiette. Se incontri il Giappone non può non venirti in mente l’anime giapponese Holly e Benji. E’ scontato, è un goal a porta vuota ed è talmente tanto ovvio che il cervello non si deve nemmeno mettere in moto per fare l’associazione.
6) Spagna-Tahiti: come già detto, 10 goal. Eppure il portiere di Tahiti, dopo una punizione parata a Villa, ha avuto la forza di girarsi verso il pubblico ed esultare come se avesse parato il rigore decisivo nella finale di coppa del mondo. Ma non è questo il punto. Il punto è che già durante la partita il commentatore e la seconda voce hanno fatto “intuire” che la Spagna non avrebbe dovuto infierire. Per quale motivo? Sportività? Pietà? La Spagna ha onorato con l’impegno espresso la nazionale di calcio di Tahiti. La pietà non serve. Serve il rispetto e il rispetto lo si dimostra giocando con serietà. Sono certo che a Tahiti nessuno si è sentito offeso dei 10 goal spagnoli. Che poi, gli 8 presi dall’Uruguay? I 7 nigeriani? Sono diversi? Per inciso, l’Italia avrebbe, forse, vinto per 2 a 0. Ma questa è un’altra storia.
7) Le tifose: mai come in questa occasione ho visto le telecamere Rai vagare tra la folla in cerca di belle ragazze da inquadrare. E, considerando che eravamo in Brasile mi pare che di possibilità ce ne fossero parecchie. Per cui, a volte sentivi il vuoto provocato dalla bocca spalancata del telecronista.
8) Un minuto di silenzio: Eppure bastava solo un minuto. Vero Borgonovo? Non ti sarebbe cambiato nulla, le cose sarebbero andate sempre cose sono andate, ma un minuto di silenzio sarebbe stato un buon modo per salutarti. Al netto delle dichiarazioni tutte uguali degli alti ufficiali di FIFA, UEFA e compagni cantante, un minuto di silenzio te lo potevano concedere. Chissà poi chi decide chi è degno di quel minuto e chi no.
9) Perché non fischia?: Bizzotto alla fine del secondo tempo supplementare decide di togliersi, i già sdruciti abiti di telecronista, per indossare i colorati panni del tifoso sfegatato. Orologio alla mano il suo ultimo minuto e mezzo di telecronaca è puro delirio emotivo. Si chiede a più riprese perché l’arbitro non fischi la fine, senza considerare il recupero concesso. Continua a ripetersi e a ripeterci: perché non fischia? L’arbitro DEVE fischiare! Mi rimane il rammarico di non poter sapere quale reazione avrebbe avuto se la Spagna avesse segnato proprio durante il recupero.
10) Italia-Giappone: al netto di tutte le disquisizioni tattiche, della valanga di goal presi e fatti, la questione principale è che la partita non l’ho vista perché l’hanno giocata a mezzanotte. Ora, considerando che il prossimo anno, per i mondiali, gli orari potrebbero essere questi, consiglio a tutti i maniaci del calcio di fare una scorta di caffeina in pillole, taurina e simili. Mai come stavolta seguire il mondiale potrebbe costarvi fatica.
confederations cup
Ancora quattro partite. Si è iniziato con la prima semifinale tra Brasile – Uruguay, una gara che ha un sapore tutto suo, una sfida che rimanda a quella grande tragedia collettiva che ha rappresentato per i brasiliani la sconfitta al Maracanà nella sfida finale del Mondiale del 1950 proprio contro la Celeste, poi calerà il sipario in attesa che lo spettacolo venga replicato in grande. Confederations Cup nel 2013, Mondiali nel 2014, Olimpiadi nel 2016, tutti in Brasile, la terra dello sport, il Paese che ospiterà i principali eventi mediatici e di costume, eventi che sono stati presentati con i consueti luoghi comuni: sole, divertimento, belle ragazze. La realtà ha clamorosamente fatto il proprio ingresso bussando rumorosamente alla porta. Il Brasile è una nazione che nell’ultimo decennio ha vissuto un boom di crescita affiancata da una attenzione all’equità sociale, perché il Paese carioca abbina povertà e ricchezza, alle spiagge e agli alberghi di lusso vanno affiancate le favelas, la miseria, il dolore. Non due facce di una medaglia, ma la realtà di tutti giorni, una realtà che rappresentava e rappresenta una piaga. Ok il progresso, ok le politiche dei governanti, ma il disagio economico resta. Ecco uno dei perché delle proteste di questi giorni, proteste che non possono essere silenziate (come ha provato a fare il presidente della Fifa Blatter) e le cui ragioni vanno ponderate e ascoltate evidenziandone anche il rischio insito che la violenza prenda il sopravvento e diventi la protagonista. L’organizzazione di questi grandi eventi di respiro internazionale rappresentano una grande responsabilità, nessun dubbio che i brasiliani sapranno mostrare tutte le qualità, e l’occasione per sperperare denaro pubblico con il concreto rischio di infiltrazioni criminale e di corruzione. Insomma, le spese lievitano mese dopo mese, i benefici economici sono relativi, la paura dei cittadini brasiliani è di vedersi presentare il conto, ed anche salato. Le proteste nascono dall’aumento del prezzo dei trasporti pubblici e trovano terreno fertile in un Paese che chiede, lo ha dimostrato, maggiori investimenti per l’istruzione, la sanità pubblica, diritti che devono essere ovunque di tutti.