Effetto serotonina
Ho parlato con estremo entusiasmo di questo libro di “African Psycho” ad un amico e lui, che pare seguire quasti tutto quello che scrivo, mi ha chiesto come mai ogni volta che esce un libro nuovo di Alain Mabanckou io sia sempre così felice.
Gli ho risposto che se un libro è bello e a uno piace leggere in qualche modo questo fatto rientra più nello spetto delle emozioni positive che in quello delle emozioni negative. Mi posso sentire sopraffatto dal sapere che il tempo per leggere è sempre meno, ma in sostanza, se esce un libro di un autore che apprezzo non posso che esserne contento.
Allora, l’amico, che evidentemente in quel momento non aveva altro da fare, mi ha chiesto di spiegargli perché Mabanckou, perché non altri autori, perché proprio lui ha questo effetto serotoninico.
Vedi, caro amico, non è che solo per Mabanckou vale il ragionamento fatto sopra, non è che solo lui mi rente letterariamente felice. C’è ne sono altri, ma con Mabanckou, fino ad ora, non mi è mai capitato di venire deluso.
Colui-che-beve-l’acqua-è-un-imbecille
Nemmeno questa volta in cui Alain Mabanckou ci racconta le vicissitudini di Grégoire Nakobomayo, cresciuto tra i vicoli di Colui-che-beve-l’acqua-è-un-imbecille, quartiere di prostitute, ubriaconi e delinquenti e che seguendole gesta del suo idolo di una vita Angoualima decide che la sua unica ragione di esistenza è quella di diventare uno spietato serial killer. Too bad che Greg sia un po’ un imbecille, qualcuno che come massimo grado di violenza ha alle spalle una martellata ad un notaio e un tentativo di stupro andato male causa impotenza.
Il tocco di Mabanckou è riconoscibile. Il fulcro è nella creazione di un personaggio derelitto per cui riusciamo a provare una sorta di simpatia pur sapendo che le sue intenzioni omicide sono sembre in aguato. Poi, e qui secondo me sta la maestria dello scrittore, Mabanckou riesce a creare un mondo bizzarro che ci tiene sempre con il sorriso sulle labbra eppure, allo stesso tempo, dipinge una realtà profondamente intrisa di disagio, violenza e degrado. Il riso, alla fine, diventa amaro.
Lo stesso idolo del nostro protagonista si rivela essere, in realtà, un personaggio che non ha nulla a che spartire con l’immagine mitologica che il popolo gli ha appiccicato addosso. Piccolo, brutto, deforme, probabilmente compie le sue gesta violente perché nella vita di tutti i giorni lui passa inosservato. Un desiderio di sadica rivincita nei confronti di coloro che non faticano ad essere osservati.
Doverosi riconoscimenti.
Dopo qualche libro ho capito che se leggo il nome di Daniele Petruccioli posso stare tranquillo.
Come posso stare tranquillo quando un libro esce con il marchio 66thand2nd. Il mio unico problema è fare spazio sugli scaffali della libreria.
Eclettico e irriverente, il poeta e romanziere Alain Mabanckou è nato nel 1966 nella Repubblica del Congo. Figlio unico, è cresciuto nella caotica Pointe-Noire, capitale economica del paese, insieme all’amatissima madre, figura centrale della sua vita: non a caso tutti i suoi libri sono dedicati a questa donna forte e determinata che lo ha spinto nel 1989 a trasferirsi in Francia per completare gli studi. E a Parigi Mabanckou è rimasto per oltre dieci anni, assaporando il clima multietnico delle banlieue, dove culture diverse si incontrano e si scontrano, creando quel mix fertile che riaffiora nei suoi romanzi. Primo autore francofono dell’Africa subsahariana a essere pubblicato nella prestigiosa collana Blanche di Gallimard, Mabanckou ha ricevuto numerosi riconoscimenti per i suoi romanzi, tra cui il premio Renaudot per Memorie di un porcospino e il premio Georges Brassens per Domani avrò vent’anni. Attualmente Mabanckou insegna alla Ucla dove si è guadagnato il soprannome di «Mabancool» perché è considerato il professore più cool di tutta la California. Nel frattempo Black Bazar è diventato un disco, sono in preparazione due film tratti dai suoi libri e l’Académie française gli ha attribuito il Grand Prix de Littérature Henri Gal 2012 per l’insieme della sua opera.