A casa, per strada, sotto la doccia, dove vi pare, ma ciò che andrò a scrivere tra poco è un’azione che tutti, o quasi, fanno durante la giornata. No, non si tratta di questioni meramente amorose, anche perché siamo in fascia protetta e non intendo minimamente rischiare una tiratina d’orecchie da parte di qualcuno, ma del “fischiettio” di una canzone qualunque. Un gesto ormai automatico quando ascoltiamo una “song” (usando il linguaggio dei teenager) alla radio, che ci accompagna per le ore seguenti. Una volta, c’è da ricordarlo, non esistevano le applicazioni degli smartphone che ti facevano, immediatamente, conoscere il titolo del brano in questione. C’erano i motivetti, cantati in un inglese più o meno maccheronico (quando si trattava di canzoni che non avevano a che fare con la lingua italiana) che venivano memorizzati nella mente, con la speranza di poterli riascoltare nel più breve tempo possibile. Adesso, in quest’ultimo periodo, la canzone che sta avendo successo in qualunque parte del mondo, anche quella invisibile ai nostri occhi, risponde al titolo di “Happy”.
Ma si, quella cantata da Pharrell Williams, noto artista statunitense, che ha pensato bene di “creare” una melodia fantastica per tutti i suoi fan e non solo. Già il titolo fa pensare a una cosa bella, che possa illuminare la giornata nella quale i problemi si susseguono ora dopo ora. Una sorta di “leggerezza” quotidiana che sta spopolando in tutto il pianeta, come detto pocanzi, con risultati eccezionali. “Happy” è divenuto l’inno alla felicità per tutti, dal bambino di 6 anni all’anziano di 99 che, magari, muove il suo bastone a ritmo di festa. Ma il video ufficiale, che in rete vanta più di 150 milioni di visualizzazioni, sta creando (e ha creato) effetti inimmaginabili grazie a migliaia di corti girati per le varie città del globo terrestre. In Italia, come tutti possono notare, l’hashtag usato è “#happy” seguito dal nome della città in cui viene girato il video. Il bello di tutto questo è che sono tutti protagonisti, con normali cittadini “impegnati” a ballare senza limiti anche per beneficenza. Pharrel Williams, infatti, lo scorso 20 marzo, in occasione della “Giornata mondiale della felicità”, ha pensato bene di scegliere i migliori video girati per ricordare a tutti l’importanza di sorridere anche nei momenti meno belli della vita. Inoltre ha voluto rammentare, ancora una volta, che tutti devono vivere felicemente, magari con in testa il motivetto di “Happy”. Che dire, voi non la ballate?
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Nel 97 qualcosa nel panorama televisivo italiano cambiò. Dalle frequenze ospitanti di Rete A, nella mia camera da letto, entrò Mtv. Io e quelli della mia generazione eravamo in preda ad attacchi di esterofilia acuta, sentivo sempre più spesso parlare del mondo come luogo in cui cercare la fuga da una provincia miope e bigotta. Londra, Berlino e Barcellona erano citate quotidianamente nei discorsi che iniziavano con: appena diplomato me ne andrò a…
C’era sempre un cugino, un parente alla lontana, un amico che però tu non avevi mai visto che un weekend sì e uno no se ne partiva per Londra a far incetta di dischi, a stramazzare esanime sui divanetti di un club e poi tornava per raccontare fumose avventure alcoliche contornate da risse sfiorate e scopate in piedi nel bagno di un Pub.
Eravamo giovani, volevamo credere che ci fosse davvero un Eldorado e che fosse raggiungibile per ognuno di noi.
Poi, arrivò Mtv e una parte di quell’Eldorado si materializzo nei nostri salotti, nelle nostre camere fino a che gente come Martha Quinn, Davina McCall, Carolyn Lilipaly si stabilirono in pianta stabile nelle nostre vite quasi a diventare parenti acquisiti. Avevamo altro di cui parlare, ma soprattutto avevamo altro da vedere. Passare interminabili pomeriggi invernali davanti alla TV e veder scorrere sullo schermo tutta una serie di video musicali era diventato uno sport. Ricordo con precisione che mi capitava di sentire al telefono la fidanzatina dell’epoca e di chiederle se avesse visto questo o quel video nuovo che avevano messo in rotazione. Era ovunque intorno a noi. Il mondo parlava della generazione Mtv e noi ne eravamo entrati a far parte. Ci stavamo costruendo un castello di sogni pop e rock senza pensare che forse, quel castello poteva pure crollare da un momento all’altro.
I VJ (Video Jockey, neologismo coniato dalla trasposizione dei Disc Jockey in TV) parlavano un inglese stretto e veloce, mitragliato a raffica attraverso gli altoparlanti della TV, provavo a seguirlo, stavo ore ed ore a cercare di calibrare il mio orecchio con le parole che provenivano dall’etere, ma le poche ore di inglese a scuola parevano non servire.
Seguire mezz’ora di trasmissione condotta da “Cat” Deeley (a proposito “Cat” dove sei finita? Perché hai smesso di popolare i miei sogni di adolescente?) mi produceva un mal di testa pauroso, ma la soddisfazione di riuscire a carpire anche solo una frase di senso compiuto da tutto quel marasma di suoni era impagabile.
Per quelli che erano adolescenti in quel periodo, seguire quotidianamente Ray Cokes e Paul King era un obbligo morale, una sorta di disobbedienza civile nei confronti di chi non poteva capire cosa significasse essere adolescente…in pratica tutti quelli che avessero più di 17/18 anni.
Poi è successo qualcosa che ha rotto l’incantesimo. Alle trasmissioni in lingua originale si sono inframmezzati programmi condotti da VJ italiani. Non voglio nemmeno discutere il valore dei VJ italiani in relazione alla loro controparte madrelingua inglese, non mi compete. Ma all’iniziale e quasi sotto silenzio inserimento di spazi localizzati in lingua italiana ne è seguita una vera e propria colonizzazione. Mtv Europe era destinata a diventare Mtv Italia. Con tutto quello che comportava. Basta VJ dalla parlantina svelta che mi insegnavano il ritmo di una lingua che faticavo ad apprendere, basta spaccati su realtà completamente distanti dalla nostra e basta alla sensazione di far parte di un circolo segreto. Ora pure i miei nonni riuscivano a capire quello che dicevano i VJ annunciando un video e il fatto che la musica, almeno in un primo momento, fosse rimasta la stessa, non aiutava ad indorare la pillola.
Mtv, con la smania di entrare a forza in una nuova fetta di mercato aveva scelto di provincializzarsi. Era lei che si era piegata a noi, non viceversa. Non c’era più il gusto della scoperta, non c’era più un Eldorado da visitare, non c’era più quella finestra che dava sul mondo e che ti faceva sognare che un giorno te ne saresti andato via. Ora, quella finestra, dava dentro casa. E dentro casa già ci stavi.
Avrei preferito che Mtv avesse mantenuto lo spirito originale, che ci facesse sudare per capire cosa stava dicendo. Ed invece ha iniziato a darci la pappa pronta.
Ho sempre pensato che anche questo passaggio all’italiano abbia contributo ad indebolire la specie.
C’era sempre un cugino, un parente alla lontana, un amico che però tu non avevi mai visto che un weekend sì e uno no se ne partiva per Londra a far incetta di dischi, a stramazzare esanime sui divanetti di un club e poi tornava per raccontare fumose avventure alcoliche contornate da risse sfiorate e scopate in piedi nel bagno di un Pub.
Eravamo giovani, volevamo credere che ci fosse davvero un Eldorado e che fosse raggiungibile per ognuno di noi.
Poi, arrivò Mtv e una parte di quell’Eldorado si materializzo nei nostri salotti, nelle nostre camere fino a che gente come Martha Quinn, Davina McCall, Carolyn Lilipaly si stabilirono in pianta stabile nelle nostre vite quasi a diventare parenti acquisiti. Avevamo altro di cui parlare, ma soprattutto avevamo altro da vedere. Passare interminabili pomeriggi invernali davanti alla TV e veder scorrere sullo schermo tutta una serie di video musicali era diventato uno sport. Ricordo con precisione che mi capitava di sentire al telefono la fidanzatina dell’epoca e di chiederle se avesse visto questo o quel video nuovo che avevano messo in rotazione. Era ovunque intorno a noi. Il mondo parlava della generazione Mtv e noi ne eravamo entrati a far parte. Ci stavamo costruendo un castello di sogni pop e rock senza pensare che forse, quel castello poteva pure crollare da un momento all’altro.
I VJ (Video Jockey, neologismo coniato dalla trasposizione dei Disc Jockey in TV) parlavano un inglese stretto e veloce, mitragliato a raffica attraverso gli altoparlanti della TV, provavo a seguirlo, stavo ore ed ore a cercare di calibrare il mio orecchio con le parole che provenivano dall’etere, ma le poche ore di inglese a scuola parevano non servire.
Seguire mezz’ora di trasmissione condotta da “Cat” Deeley (a proposito “Cat” dove sei finita? Perché hai smesso di popolare i miei sogni di adolescente?) mi produceva un mal di testa pauroso, ma la soddisfazione di riuscire a carpire anche solo una frase di senso compiuto da tutto quel marasma di suoni era impagabile.
Per quelli che erano adolescenti in quel periodo, seguire quotidianamente Ray Cokes e Paul King era un obbligo morale, una sorta di disobbedienza civile nei confronti di chi non poteva capire cosa significasse essere adolescente…in pratica tutti quelli che avessero più di 17/18 anni.
Poi è successo qualcosa che ha rotto l’incantesimo. Alle trasmissioni in lingua originale si sono inframmezzati programmi condotti da VJ italiani. Non voglio nemmeno discutere il valore dei VJ italiani in relazione alla loro controparte madrelingua inglese, non mi compete. Ma all’iniziale e quasi sotto silenzio inserimento di spazi localizzati in lingua italiana ne è seguita una vera e propria colonizzazione. Mtv Europe era destinata a diventare Mtv Italia. Con tutto quello che comportava. Basta VJ dalla parlantina svelta che mi insegnavano il ritmo di una lingua che faticavo ad apprendere, basta spaccati su realtà completamente distanti dalla nostra e basta alla sensazione di far parte di un circolo segreto. Ora pure i miei nonni riuscivano a capire quello che dicevano i VJ annunciando un video e il fatto che la musica, almeno in un primo momento, fosse rimasta la stessa, non aiutava ad indorare la pillola.
Mtv, con la smania di entrare a forza in una nuova fetta di mercato aveva scelto di provincializzarsi. Era lei che si era piegata a noi, non viceversa. Non c’era più il gusto della scoperta, non c’era più un Eldorado da visitare, non c’era più quella finestra che dava sul mondo e che ti faceva sognare che un giorno te ne saresti andato via. Ora, quella finestra, dava dentro casa. E dentro casa già ci stavi.
Avrei preferito che Mtv avesse mantenuto lo spirito originale, che ci facesse sudare per capire cosa stava dicendo. Ed invece ha iniziato a darci la pappa pronta.
Ho sempre pensato che anche questo passaggio all’italiano abbia contributo ad indebolire la specie.