Quella di Jack Sintini è una delle storie più belle che lo sport possa scrivere. Anzi, perdono, che la vita possa scrivere. Sì, perché Giacomo Sintini, per tutti Jack, è uno sportivo, gioca a pallavolo, è un palleggiatore, quello che nel calcio è il regista e nel basket il playmaker. Insomma, è il cervello della squadra per cui gioca. E’ veramente bravo, viene chiamato in Nazionale, vince gli Europei nel 2005, gira lungo l’Italia conquistando uno scudetto nel 2006 a Macerata. La sua sembra essere la classica carriera di un giocatore professionista d’alto livello. Sembra appunto, lo è fino a quando il sole non si offusca, la luce inizia a diventare sempre più fioca, il buio inizia a dominare e le tenebre profonde sono lì a un passo. Due anni fa, mentre stava per andare a giocare in Polonia, arriva la mazzata: tumore del sistema linfatico. “Adesso ho un’altra partita da giocare“, scrisse Sintini rendendo pubblica la propria malattia. Si sbagliava, non era una partita, era una guerra e come tale l’ha combattuta. Elmetto in testa, dolore, sofferenza, paura tremenda di non vivere, altro che pensare alla pallavolo e allo sport, ma tanta determinazione, coraggio e voglia di battere il Male. Gli è andata bene, perché ci piacerebbe poter dire che basta la volontà per sconfiggere un tumore, ma non è così: aiuta, è fondamentale non lasciarsi andare non lottando come un leone per la vita, ma è il sole da solo che deve tornare a brillare. Semplicemente, non era il suo momento.
“Ero sdraiato in quel letto d’ospedale, senza capelli, senza forze, con tanta paura di morire. Non speravo che il mio problema un giorno sarebbe mai più stato quello di vincere o perdere una partita. Non credevo di avere tante speranze, ho perso tante volte la fiducia“. C’è tanta consapevolezza in queste parole, quelle di un sopravvissuto, di una persona che ce l’ha fatta, il Male è scomparso dal suo corpo lasciando spazio nuovamente alla linfa vitale. Si torna a respirare, si torna a giocare a pallavolo. Il destino, però, aveva ancora diverse pagine da scrivere: non basta sconfiggere la malattia, ricominciare a giocare, perché il Fato ha riservato a Sintini un’altra partita. E questa volta, dipende da lui e dalle sue capacità. Si giocano le finali scudetto, Trento – la sua nuova squadra – contro Piacenza, in gara 4 dei playoff il palleggiatore titolare Rapahel si fa male. Tocca a lui, Jack è nuovamente il cervello della propria squadra. Nella sfida finale, la mano non trema, le sinapsi funzionano a meraviglia, innesca i propri compagni giungendo alla vittoria. Il campionato è di Trento, Sintini ha vinto, lui è il miglior giocatore delle finali.
“Questo è veramente il lieto fine di una storia stupenda. Ho passato un anno meraviglioso qui a Trento che mi ha accolto dopo la mia lunga malattia. . Lo dedico a mia moglie, a mia figlia, a tutta la mia famiglia, ai medici che mi hanno curato, agli amici e a tutte le persone che mi sono state vicine durante il mio periodo difficile. Spero che questo successo possa essere un messaggio ulteriore per le persone che stanno male e che cerco di aiutare tramite l’Associazione che ho creato: il messaggio che vorrei lanciare ancora una volta è che guarire è possibile, bisogna crederci, credere che è possibile rialzarsi“.
Che si sia o non si sia credenti in qualcuno o qualcosa, la vita è un dono meraviglioso, un regalo di una bellezza che lascia senza parole. Si può vincere, perdere, l’importante è non arrendersi, dare valore a quello che abbiamo, anche se è poco, e smettere di pensare a ciò che non si ha.