PREGHIERA PER SUA FIGLIA – Roger Rosenblatt e il memoir
di Nicola Manuppelli
“E possa il suo sposo portarla in una casa
Dove tutto sia rito e cerimonia;
Perché arroganza e l’odio sono merci
Spacciate per le strade.
(William Butler Yeats, “Preghiera per mia figlia”)
A un certo punto, in questo meraviglioso memoir, Roger Rosenblatt cita una delle poesie più belle e sentite del poeta irlandese William Butler Yeats, “Preghiera per mia figlia”, svelando, forse addirittura decifrando, il significato di alcuni fra i versi più complessi di quel brano, e cioè quando Yeats augura alla figlia, ancora nella culla, di poter abitare in una casa “dove tutto sia rito e cerimonia”.
In quei versi, così carichi di passione, dove il poeta irlandese augura alla bambina di poter resistere “all’odio intellettuale” perché “è il peggiore” e di poter reggere i venti e “crescere come un albero in disparte”, quell’ultimo accenno a “rito e cerimonia” sembra quasi un abbassamento di tono, un’immagine meno potente delle altre.
Ma “Making Toast” è anche l’opera di un grande insegnante di scrittura, in grado di svelarci la bellezza “intima” di ciò che Yeats voleva dire.
Roger Rosenblatt (New York, 1940), oltre a essere stato giornalista per lungo tempo per The New Republic, Time, The New York Times e il Washington Post, è stato per anni un apprezzatissimo insegnante di scrittura creativa.
La sua carriera è iniziata proprio in questo modo, da studente fra i più brillanti di Harvard, e direttore a soli 25 anni del dipartimento di scrittura per matricole dell’università e poi insegnante, sempre a Harvard, di teatro e poesia irlandese; fino alla svolta, dopo i trent’anni, del giornalismo quando fu assunto da New Republic.
Come giornalista, Rosenblatt è stato uno fra i più celebrati articolisti americani. Quasi tutti i più importanti premi legati al giornalismo negli Stati Uniti gli sono stati conferiti. In occasione del centenario della Statua della Libertà, un suo articolo di copertina per il Time, “A Letter to the Year 1986” è stato incapsulato dentro la statua.
Nel 2006, però, Rosenblatt ha deciso a sorpresa di abbandonare il giornalismo per dedicarsi alla scrittura di romanzi e memoir. E in quest’ultimo genere, si è distinto come un vero e proprio innovatore, guadagnandosi le lodi di scrittori come Richard Ford e E.L.Doctorow, con una particolare forma di memoir che intreccia biografia e grandi temi, in un andamento di scrittura quasi musicale.
Pete Hamill ha paragonato la scrittura di Rosenblatt alla musica di Sonny Rollins.
“Da solo, in compagnia unicamente dello strumento della propria arte, Rosenblatt cerca per tutto il tempo di sorprendersi,” ha scritto Hamill.
Per Rosenblatt una autobiografia “non riguarda chi la scrive, ma il mondo che egli osserva, descrive, capisce, sogna.”
E così eccoci di nuovo a Yeats e a quella “Preghiera per mia figlia” che si potrebbe leggere accanto a questo libro come una sorta di contrappunto.
Per una di quelle strane magie che succedono solo nella letteratura, questo piccolo libro parlandoci di un lutto e di come superarlo, chiude in qualche modo il cerchio aperto da Yeats.
Il dolore personale che Rosenblatt vive trova una propria espiazione nella scoperta che la “preghiera” è stata in qualche modo esaudita, la bellezza raggiunta. E la bellezza non si disperde.
Amy, nei suoi trentotto anni di vita, è riuscita a creare riti e cerimonie e, attraverso quelli, chi è “rimasto” può prima sopravvivere alla sua scomparsa e poi vivere.
Non è un libro su una figlia scomparsa, ma una lode del carattere, della gioia, dell’energia di questa figlia. Se, anche in questo caso, dovessimo paragonarlo alla musica, è uno spiritual, perché la morte viene esorcizzata (non schivata) con la vita.
“Come sono nate l’innocenza e la bellezza,” scrive ancora Yeats, “se non nel rito e nella cerimonia.”
Ecco il segreto del titolo. “Making Toast”
Fare toast è un gesto semplice per fare andare avanti le cose. “Ogni mattina c’è il pane,” ha detto Rosenblatt “e puoi preparare il toast e fare iniziare in qualche modo la giornata. E così, inconsciamente, fare toast è diventato un simbolo di come vivere la nostra vita. Tutti devono sviluppare un talento. E il mio talento è sapere fare i toast.”
Così rito e cerimonia sono delle specie di pilastri a cui aggrapparsi per accogliere la sorprendente capacità dell’esistenza di stupirci.
La vita è jazz: partitura e improvvisazione.
È stato detto che “Making Toast” è un grande libro sull’educazione ed è la verità. Ma questa educazione non è unilaterale, non è una questione di anzianità, di vecchi che hanno da insegnare ai giovani. Tutti insegnano e tutti imparano. È una questione di apertura. È circolare. All’inizio del memoir troviamo un Rosenblatt arrabbiato, rancoroso. Alla fine troviamo un Rosenblatt riflessivo. Ha chiacchierato con tutti, parenti, vicini, figli, altri scrittori (nel libro compaiono soprattutto scrittrici, Alice McDermott, Meg Wolitzer).
Con lui sono cresciuti anche i nipotini, la moglie, il marito di Amy rimasto vedovo.
Come ha scritto Ann Beattie, finiamo per “sentirci parte di questa famiglia.”
Making Toast è un’educazione alle stagioni della vita e, tornerei a sottolineare, alla bilateralità di questa: adulti che insegnano ai bambini e bambini che insegnano agli adulti; morti che insegnano ai vivi; figli che insegnano ai padri.
È stato Richard Ford a sottolineare l’immensa umiltà di Rosenblatt, il modo in cui ci sappia parlare di grandi temi mettendosi nel mondo, con l’apertura di chi vuole imparare sempre.
Questo flusso si riflette anche nella scrittura. Nel suo saggio di creative writing “Unless it Moves the Human Heart” (una serie di conversazioni, in parte ricostruite e in parte inventate, con i propri studenti), Rosenblatt intitola un capitolo “Scrivere come un lettore”. Nello spiegare come l’approccio di un autore debba contenere la stessa capacità di sorprendersi di un lettore, la medesima apertura mentale, Rosenblatt cita una frase del poeta americano Robert Frost:
“Se lo scrittore non piange, il lettore non piange.”
In questo memoir capita spesso di piangere, e poi di sentirsi sollevati, leggeri.
Pochi obiettivi può avere la scrittura più grandi.
“Scrivere è la cura per i mali del vivere,” scrive Rosenblatt. “A volte può sembrare una fuga dal mondo ma, nei momenti migliori, è una forma di riscatto.”
“Da scrittore,” dice sempre Rosenblatt, “devo credere alle cose invisibili.”
Questo invisibile lo ha cercato in questo e altri memoir, come nel bellissimo “Kayak Morning” dove ritroviamo i bambini di “Making Toast” per vivere con loro una bellissima mattina d’estate in kayak, una singola frazione di tempo due e anni e mezzo dopo la morte di Amy. Poche ore per raccontarci, nel suo solito modo delicato, l’apprendimento del dolore.
A “Making Toast” e “Kayak Morning” hanno fatto seguito libri i cui titoli sono già una suggestione. “The Boy Detective” dove Rosenblatt cammina per i quartieri della propria infanzia a Manhattan e riflette sullo spazio e sul tempo, e il recentissimo (2015) “The Book of Love: Improvisations on That Crazy Little Thing.”
Proprio quest’ultimo titolo sembra contenere tutte le parole che rappresentano la magia di Rosenblatt: l’improvvisazione, l’amore e la follia.
Fra le prime righe di questo libro, Rosenblatt si rivolge alla moglie: “La storia che sto per raccontare è tua. Anche di altri: altre persone, altre cose. Ma soprattutto tua. Inizia e finisce con te. Torna ripetutamente da te.”
I memoir di Rosenblatt sono soprattutto questo. “Nostri”.
Iniziano e finiscono con noi e tornano ripetutamente da noi.
(Il copyright della foto di copertina è di Chip Cooper)