Riuscireste a scrivere come un bambino? Come un bambino sveglio intendo. Un bambino che tra i suoi hobbies ha quello di collezionare parole: ogni sera apre il dizionario e memorizza parole. Capite che non parliamo di un bambino qualunque. Tra le altre cose Tochtli, così si chiama, è figlio di un pericolosissimo narcotrafficante e vive nascosto in una villa in chissà quale parte sperduta del Messico. Sapreste scrivere dando voce a un bambino così, tanto bene che i vostri lettori scorderanno che lo scrivente è tutt’altro che un infante? Juan Pablo Villalobos ci riesce eccome in questo libro, edito da Einaudi, che s’intitola appunto Il bambino che collezionava parole e non solo quelle, Tochtli, infatti, colleziona anche cappelli e animali in via d’estinzione. Più in generale, Tochtli è solito enumerare: conta le persone che conosce, certo è facile visto che sono meno di venti, conta le persone che ha visto morire o che sono scomparse, anche qui non c’è da scervellarsi perché stavano tra quei venti, conta le ore e i giorni. Insomma, è chiaro, il povero Tochtli s’annoia moltissimo, del resto sono più le cose che non può e non deve fare rispetto a quelle che gli sono consentite. Non può uscire dalla villa, non può andare a scuola, per questo ha un’istitutore. Non ha una mamma, ma non per questo si piange addosso, anche se qualche volta vorrebbe farlo, ma i veri uomini non piangono e lui non è di certo una femminuccia. Quando il padre non è impegnato nei suoi traffici o con le sue donne allora chiede al figlio cosa desidera, il suo assistente prende nota e dopo qualche tempo l’oggetto/animale desiderato da Tochtli arriva direttamente lì alla villa. Padre e figlio parlano poco e quando lo fanno sembra di essere in un film di Tarantino, anzi, non mi stupirei se il regista decidesse di mettere le mani sui diritti di questo libro, è molto cinematografico, tanto che avrei già un’idea degli attori da assoldare.
Sono servite solo 78 pagine a Villalobos per creare un personaggio come Tochtli a cui le parole servono per definire e catalogare ciò che lo circonda. Le parole gli tengono compagnia, riempiono vuoti e assenze. Nella sua ristrettissima visione della realtà, Tochtli, com’è naturale che sia, ha le sue fissazioni, per esempio è convinto che fare il Re sia il lavoro più bello del mondo perché non si deve mai lavorare e che ai francesi non piacciono i re mentre agli spagnoli sì, ai francesi piacciono le ghigliottine, a lui, invece, piacciono le spade dei samurai. Tochtli è una specie di marziano finito a vivere in Messico nella casa dell’uomo più ricercato delle due americhe, gli è estranea la normalità, perché, in fin dei conti, intelligente com’è, sa perfettamente che quella nella quale è cresciuto è solo una messa in scena.