Undici anni a Downing Street. Al numero 10, per la precisione. Undici anni da Primo Ministro del Regno Unito, dal 1979 al 1990, una decade intera vissuta da protagonista – nel bene e nel male, lasciando un segno tangibile sulla società britannica.
Margaret Thatcher è morta lunedì a Londra. Aveva 87 anni, da tempo malata, negli ultimi anni si era ritirata dalla vita pubblica. Primo e finora unico Primo Ministro donna, è stata ribattezzata Lady di Ferro (un soprannome spregiativo dato da un giornale della ex Urss) e Tina (acronimo della sua solita espressione: There is no alternative, non c’è alternativa).
Ha fatto del prendere o lasciare la cifra politica della propria avventura politica. Allergica ai compromessi, aveva le sue idee ed era pronte a lunghe guerre per vederle trionfare. Famose le sue battaglie con i sindacati inglesi – le Unions -, Thatcher è stata bersagliata da scrittori, rockers, artisti e filosofi. Simbolo di un decennio, assieme a Reagan e Mitterand, è diventata l’alfiere del liberismo più spinto destrutturando la macchina assistenzialista statale seguendo come unica stella polare quella del mercato.
Nel bene e nel male, la Thatcher è stata una indiscussa protagonista della storia inglese e una parola a volta abusata, statista, non sembra stonare se accostata alla sua figura.
Il calcio inglese però non la piange, il calcio inglese ha deciso di non osservare un minuto di silenzio in suo ricordo prima del calcio d’inizio delle prossime partite. Si ha paura delle reazioni del pubblico, di una caterva di fischi, ma si dimentica anche quello che la Thatcher ha fatto per il calcio. Con i suoi governi ha avuto inizio quella dura battaglia agli hooligan dopo le tragedie degli anni Ottanta. Un pugno di ferro, il suo, continuato e diventato ancora più letale dai successori Mayor e Blair.
E’ giusto che lo sport non si fermi quando muore uno dei principali personaggi della propria Nazione d’appartenenza? Questo è l’interrogativo che l’intera vicenda ci lascia. A ognuno di noi la risposta.