Roma, 1977, è da qui che parte la nostra storia. Il sogggetto è Gary Cole, diventato poi Abdul Jeelani in seguito alla conversioe alla fede musulmana, e lo sfondo sono i tanti palazzetti di basket italiani che riempie grazie alle sue magiche giocate. Facciamo però un passo indietro di circa vent’anni, trasferendoci in Tennessee, è qui che infatti nel 1954 nasce il protagonista.
Gary Cole è un giocatore di basket, che subito fa parlare di se e del suo immenso talento, dopo aver bruciato infatti qualsiasi tipo di record all’University of Wisconsin-Parkside approda nel campionato italiano. La prima stagione è a Roma nel 1977, con l’Eldorado, l’impatto nel campionato italiano è devastante, Gary infatti, dall’alto dei suoi 203 cm, dipinge pallacanestro con un’eleganza e purezza di movimenti davvero cristallini, affermandosi subito tra i migliori straneri della nostra lega. Il sogno però di qualsiasi cestista, per lo più americano, è quello di giocare nella Nba, ed il nostro protagonista ci riesce, prima con i Portland Trail Blazers e poi con i Dallas Mavericks, segnando 1290 punti in 143 partite oltreoceano. Abdul tornerà poi nel 1981 in Italia a Livorno per imprimere definitivamente il suo nome nei tre anni di permanenza in Toscana, guadagnandosi l’appellativo di “mano di Maometto” e conducendo la squadra ad una storia promozione in A1. Terminerà poi la sua carriera in Spagna al Baskonia nel 1987.
Sembrerebbe la storia perfetta, ricca di soddisfazioni personali per un ragazzo del Tennessee che ha realizzato i suoi sogni e che quindi può continuare a godersi la vita e la popolarità dopo il ritiro dall’attività agonista. Eh no, non sempre tutte le storie finiscono con il lieto fine, perché la vera vita di Gary Cole, poi Abdul Jeelani, deve ancora cominciare, ed è lì che deve dimostrarsi un vincente. Una serie di investimenti sbagliati, due divorzi, una vicenda di alimenti non pagati, un cancro alla prostata, la perdita del lavoro presso la Johnson Wax (azienda di prodotti per pavimenti), sono solo alcuni degli avvenimenti che hanno condizionato in negativo la vita di Jeelani. L’adone dei palasport italiani è ora un homeless, un senza tetto, costretto a vivere alla giornata e a trovare il minimo indispensabile per vivere, o meglio, sopravvivere.
Si rifugia nel centro HALO (Homeless assistance leadership organization), ed è qui, tra tante anime che hanno perso la propria identità, che inizia la sua risalita. L’angelo di Abdul si chiama Simone Santi, presidente della S.S. Lazio Basket, da anni impegnato nella riqualificazione di alcune aree del territorio romano ed in un progetto di integrazione ed aiuti nei confronti dei meno fortunati. Simone, che aveva visto giocare “la mano di Maometto” nell’Eldorado Roma, apprende della sua triste e rovinosa storia attraverso un articolo di giornale, cominciando quindi il lungo viaggio alla sua ricerca. Lo trova, gli offre la possibilità di riprendere in mano la sua vita ed inserirlo nel Progetto Colors di cui Santi si occupa. Si tratta di un progetto che si offre di aiutare circa un migliaio di ragazzi, dagli 8 ai 14 anni, che devono far fronte a disagi socio- economici, in collaborazione con servizi sociali, parrocchie, istituti scolastici ed associazioni di volontariato. Abdul non ci ha pensato un attimo ed ha raggiunto Simone a Roma, occupandosi ora di questi ragazzi, trasmettendo loro quei valori di amicizia, educazione e rispetto che devono essere alla base dello sport e della vita quotidiana.
Non ho avuto la fortuna di poter vedere Jeelani giocare, ma chi ne ha avuto la possibilità me ne parla come una grande forza della natura, elegante e raffinato nei movimenti, un giocatore che ha dato filo da torcere ai grandi della pallacanestro italiana come Dino Meneghin. Era il 2011 quando venivo a conoscenza della storia di Abdul, un qualcosa che mi è rimasto impresso, perché la vita come è capace di darti tutto, soldi, popolarità, talento, può anche privartene in qualsiasi momento, ed è lì, quando siamo da soli, che bisogna trovare la forza di reagire ed andare avanti, contando anche sull’aiuto di quelle persone con un animo nobile, proprio come è accaduto al nostro protagonista ed al suo angelo Simone Santi. Nel Febbraio del 2012, Simone, con il quale mi ero messo in contatto, mi invitava a Roma alla presentazione del suo libro, in collaborazione con Jeelani, “Ritorno a colori”. Quale occasione migliore per conoscere da vicino il protagonista di questa storia? La sala è gremita di gente, politici, amici, giornalisti ed appassionati di basket, questa è la platea e mi rendo conto che la sua storia ha colpito davvero tante persone. Abdul è lì seduto, parla solo se interepellato, e lo fa con un italiano misto allo spagnolo, tra i “bueno” e “perfecto” racconta le sue impressioni, idee e progetti. E’ bello sentirlo parlare, dai suoi occhi e dall’espressione del suo volto si percepisce la felicità di essere tornati a vivere, e non più sopravvivere.