“Il dottor Belli mi ha detto che dovrei smetterla di definirmi in base a quello che non sono e a quello che non ho. E ha ragione. Solo che se faccio un elenco di quello che ho mi viene in mente per prima cosa una madre che se n’è andata di casa quando avevo due anni e mezzo, e il pensiero, come dire, mi toglie l’appetito.”
Ho letto tre libri di seguito, recentemente, caratterizzati da piani temporali intrecciati, alternati, sovrapposti. Due hanno vinto, uno ha perso, nelle mie valutazioni che nulla aggiungono e tantomeno tolgono al lavoro di tutti e tre gli scrittori.
“Il contrario delle lucertole“, scritto da Erika Bianchi e pubblicato da Giunti Editore Spa, è tra i vincitori. I piani temporali, in questo romanzo, non solo si intrecciano specie all’inizio, ma quasi subito ti accorgi che la storia tutta è raccontata all’indietro, al contrario. E’ una scelta particolare, che espone a forti rischi, che aumentano con un numero di pagine corposo.
L’autrice però riesce a gestire bene il suo progetto, e sembra di leggere una normalissima storia che nasce, cresce e si conclude.
“Il contrario delle lucertole” inizia dall’epilogo e risale la china degli eventi alla ricerca di risposte, di persone, di eventi, e fatalmente sono sempre più le domande che i tanti narratori presenti nel romanzo si pongono, più che le risposte che riescono a darsi.
Il racconto copre una settantina d’anni, dal 1948 ai giorni nostri, e molti personaggi attraversano perciò un tempo di totale rinnovamento, stravolgimento, decadimento del nostro Paese e delle vite della persone.
Dalla guerra e dalla distruzione, alla ricostruzione, dal boom economico allo “Sboom” di valori e fondamenti apparentemente solidi e lungimiranti, ma tutto questo rimescolamento, questo andirivieni simile al cestello di una lavatrice, a cui Erika sottopone i lettori, lascia sul fondo un deposito, un residuo sul fondo della vasca che è la debolezza, la pochezza dell’essere umano vinto dai suoi stessi, inevitabili (?) errori.
Isabelle è la protagonista principale della storia, colei che vorrebbe tenere le redini, che diventa catalizzatore di ogni rapporto e di ogni storia che “sentirete” leggendo queste stupende pagine.
Isabelle sta al centro del suo mondo, dopo alcuni fatti determinanti e prima di altri ugualmente importanti. Figlia di una ragazza madre, e a sua volta madre di due ragazze, e compagna di più di un ragazzo, vive tra la Francia e l’Italia, alla continua ricerca di se stessa, nel persistente tentativo di colmare un grande vuoto.
Questo bel romanzo, molto intenso, pregno di importanti pensieri, riflessioni, pieno di tantissima rabbia che sgorga dalle pagine così che ti sembra di bagnarti i polpastrelli mentre le giri, è un lavoro ben fatto.
E’ il racconto limpido della vita di un gruppo numeroso di persone che col passare degli anni cresce, si allarga, si intreccia, si scopre e si conosce, e vive in questo nostro mondo strapieno di contraddizioni e fatiche. E’ un po’ anche romanzo degli ultimi, dei poveri, economici e di spirito, di chi non ha colpa, ma è oppresso dai sensi di colpa. Io azzardo: questo è un romanzo straordinario. Ho amato i personaggi di Isabelle, Attilio il barista, Nanni e tutti gli altri. Ho sofferto con Cecilia, con Carlo e Jules, tutti attori ben pensati e messi in scena, ognuno con la sua caratteristica voce, che non crea inciampi ma una piacevole polifonia.
Questo libro parla di genitori, figli, persone anonime per l’universo che le circonda, ma non certo per se stesse. Questo libro parla di relazioni difficili da costruire e ancor più faticose da mantenere, anzi che vorresti spesso buttare a mare, tagliare, come le code delle lucertole. Che poi però ricrescono.
Buona lettura. Claudio DP.
“Solo il vuoto lasciato da ciò che ho perso, è mio per sempre.”