E’ davvero strana la sensazione che ho avuto mentre leggevo “Smarrimenti” di Hjalmar Söderberg. Pagina dopo pagina mi sono convinto che quanto stavo leggendo, non la storia, sia chiaro, ma l’atmosfera creata dall’autore, fossero già transitati davanti ai miei occhi di lettore. Eppure non riuscivo a ricordare. Non riuscivo a tirare fuori da quei cassetti della memoria mal oliati, un titolo che avvalorasse la mia idea. Poi, l’illuminazione, non si trattava di un libro, ma di più libri, non si trattava nemmeno di libri specifici, importanti da ricordare, bensì di una tendenza vera e propria.
Tomas è un ragazzo che ha appena raggiunto un traguardo importante nella vita e come tutti (penso ai nostri laureati) si è fermato un attimo a tirare il fiato, a cercare di capire quale strada lo dovrà accogliere. Poi, come spesso accade, questa pausa di riflessione sfocia nell’immobilismo e nel senso di vuoto. Io quel vuoto lì l’ho sperimentato dopo una settimana dalla laurea, mentre ero fermo ad un semaforo rosso in attesa di ripartire. Poi sono ripartito. Non so se ho preso la strada giusta.
Tomas di dibatte tra storie sentimentali in cui lui stesso non capisce ciò che vuole e amici che contribuiscono al suo stato di smarrimento. Il tutto in una Stoccolma che pur essendo stata ritratta più di un secolo fa mi risulta tanto famigliare. Seppur spesso, la città nordica, venga considerata un luogo di pace e serenità, per Tomas (e anche secondo il punto di vista della madre) la città diventa fonte di tentazione e traviamento.
La scrittura di Hjalmar Söderberg è straordinariamente fredda e tagliente. Qualcosa di imprecisato che ti porta ad assistere all’azione con l’intento di studiare i comportamenti del genere umano. Non c’è traccia di giudizio in quello che scrive Söderberg, c’è piuttosto la volontà di prendere alcune pedine e di farle interagire tra di loro per capire di cosa è fatto quell’orrendo vuoto che noi, nel 2015, ormai conosciamo bene.
Davvero ottima la traduzione di Massimo Ciaravolo. Va considerato che quello che ha avuto per le mani oltre ad essere svedese è pure lo svedese di cento anni fa. Come se vi regalassero un mobile ikea con le istruzioni scritte in russo medioevale.
Il mio io diciassettenne probabilmente avrebbe riso nel leggere che un tocco di sfuggita tra due mani poteva ingenerare turbamento tra i due teneri amanti. Ma si sa, il mio io diciassettenne era un’idiota.
Lindau, nella collana “Senza frontiere” sta un po’ nel mezzo tra la riscoperta di alcuni classici e la proposta di autori nuovi e ingiustamente ignorati dal pubblico italiano. Sto pensando a Söderberg per la prima categoria e a Wendell Berry per la seconda. La mia speranza è che Senza Frontiere, nell’espandersi, riesca ad inglobare anche un altro settore, che per ora non svelerò.
Hjalmar Söderberg nacque a Stoccolma nel 1869. Dopo aver abbandonato l’università per dedicarsi esclusivamente alla letteratura, debuttò nel 1895 con il romanzo Smarrimenti, cui seguirono una raccolta di novelle (1898; Il disegno a inchiostro), il romanzo autobiografico La giovinezza di Martin Birck (1901), Il Dottor Glas (1905) eIl gioco serio (1912). Del 1906 è il dramma Gertrud, da cui C. Th. Dreyer trasse un suo celebre film. Nel 1917 si trasferì a Copenaghen dove rimase fino alla morte, avvenuta nel 1941.