E pensare che a dicembre c’era chi parlava di un sorteggio favorevole per il Milan. Si è visto poi come è andata a finire, con l’Atletico Madrid che soffre a Milano, ma poi dilaga al Calderon. Passa ai quarti di finale di Champions League, dove incontra il Barcellona, la squadra che ha dominato negli ultimi anni in Spagna e in Europa, ma che non è più quella dei tempi d’oro. Facile a dirsi, però quando entri in campo e vedi di fronte Xavi, Iniesta, Neymar e Messi, la realtà si complica tremendamente.
Per i Colchoneros, che letteralmente significa materassai, è l’ennesima sfida da quando Diego Pablo Simeone si è seduto sulla panchina di quello che per tutti è il secondo club di Madrid, quasi pure per gli stessi tifosi.
“Por qué somos del Atleti?”, domandava un figlio al padre in una campagna abbonamenti di qualche stagione fa, ricevendo come risposta un teatrale silenzio. Non c’era risposta allora, nell’epoca in cui l’Atletico si crogiolava nel mito della sfiga, quella che portò a subire il gol del pareggio nella finale della Coppa dei Campioni 1974 a trenta seconda dalla fine con conseguente replay e vittoria del Bayern, una sfiga con l’aurea della malinconia per quel che non si riesce a essere.
Simeone ha semplicemente deciso che la sua squadra non doveva essere perfetta. Dopo anni in cui gli allenatori dell’Atletico hanno provato a imitare la moda del Barcellona, ma senza avere i giocatori necessari per il tiqui-taca, e senza avere le risorse mega milionarie dei cugini del Madrid, il tecnico argentino ha ottimizzato quanto ha avuto a disposizione. Abbandonata la strada dell’imitazione, il Cholo Simeone ha compreso che quella squadra non doveva essere perfetta, non doveva ricercare la giocata vincente e spettacolare, ma doveva strisciare sul terreno di gioco aspettando che la vittoria arrivasse facendo sbagliare gli avversari il più possibile.
Per farlo bisogna sudare, serve avere la consapevolezza dei propri limiti, ma soprattutto inserire in un ambiente depresso la cultura maniacale della sofferenza e del lavoro. La fatica paga, il Cholismo diventa una filosofia di vita, più che di gioco, l’Atletico diventa una squadra che gioca come è: tosta, dura, compatta, coesa.
Simeone fa in modo che la vittoria arrivi a sé, forza gli errori della squadra che si trova di fronte con un gioco certamente non spettacolare, ma fortemente organizzato a livello difensivo, con una grandissima capacità di far venire le vesciche, anche al cervello, agli avversarsi colpendo loro nei punti più deboli.
Quello che Simeone era da giocatore, ora lo è da allenatore. Un guerriero. E non fate caso a chi vi dice che gli allenatori contano relativamente, che la differenza la fanno i giocatori, che loro, gli allenatori, in fondo durante una partita possono fare poco. Guardate una partita dell’Atletico e conterete dodici giocatori. Uno è a bordo campo, in giacca e cravatta, ma è quello decisivo.