Nel 1999 Roberto Benigni vinceva l’Oscar per il miglior film straniero con La vita è bella, 15 anni dopo, Paolo Sorrentino si aggiudica la magica statuetta con la Grande Bellezza, film che racconta la vita di Jep Gambardella, scrittore romano d’adozione, re di una malinconica mondanità.
Non è per la bassa statura e nemmeno per l’ospitalità impeccabile che l’italiano si riconosce, ma per il canto.
Siamo un popolo cantante; lontano dalla nostra terra ne lodiamo il mare, felici per un successo ci esprimiamo note, entusiasti di una scoperta ne cantiamo la grande bellezza.
In bellezza concepiti , nel suo grembo cresciuti, per una serie di ridicoli motivi abbiamo poi dimenticato la nobile genesi.
Fuori dello Stivale siamo quelli che fanno sempre festa; questo non ci piace eppure è vero: al di là dello stereotipo, è vero che la vita ci riempie, vorremmo mangiarla, goderne e farci l’amore; al di là dello stereotipo è forse questa l’immagine di noi che spicca il volo, attraversa l’Oceano e arriva a Los Angeles, nella notte degli Oscar.
Non è un caso che le ultime due pellicole italiane ad aggiudicarsi la statuetta riflettono, a partire dal titolo, sulla bellezza, non è un caso che sia La vita è bella (1997) che La grande bellezza (2013) raccontino storie, tanto diverse quanto uguali, di una grazia apparentemente sparita, da scovare e restaurare.
Si nobilita così lo stereotipo dell’Italiano godereccio: l’allegria che lo rappresenta, da superficiale e primordiale indifferenza alla dura scorza della vita, diventa componente indispensabile del saper stare al mondo “nonostante tutto” .
L’Oscar racconta la rivalsa del popolo delle cose piccole e belle, la rivincita di un filantropo innamorato nonostante un genocidio in atto, la missione di Jep Gambardella, mondano, frivolamente profondo, alla ricerca di ciò che si sedimenta “sotto il chiacchiericcio e il rumore. Il silenzio e il sentimento. L’emozione e la paura. Gli sparuti incostanti sprazzi di bellezza, e poi lo squallore disgraziato e l’uomo miserabile. Tutto sepolto dalla coperta dell’imbarazzo dello stare al mondo.”