Era una giornata piovosa, e avevamo le interrogazioni in Storia dell’Arte. Quando due miei compagni di classe fecero scena muta dinanzi al Prof. Carmine Benvoluto, questi si rivolse loro dicendo semplicemente: “Ma venite a fare gli stronzi a scuola!?!” Ecco, quella frase mi è rimasta nella mente e la porto con me da un bel po’, soprattutto me la ripeto ogni qual volta leggo baggianate di molti titolati, anche plurititolati. Conversando sempre col Prof. Benvoluto, poco tempo fa, mi disse un’altra bella cosa: “Oggi la scuola è priva di contenuti”. Io aggiungo un’ulteriore specificazione: oggi la scuola è priva di contenitori (recettori), per cui nella stragrande maggioranza dei casi gli input non vengono recepiti e assimilati da chi dovrebbe assimilarli. Quando si dice che la scuola è priva di contenuti si dice una cosa vera. Perché oggi quello che conta non è più la sostanza, ma è la forma: oggi basta arrivare alla meta per sentirsi grandi e completi, dimenticando che la “meta” è solo una tappa di un percorso che, per definirsi completo, avrebbe bisogno di una seconda vita e soprattutto di un coinvolgimento esistenziale a 360°.
L’apparenza conta più dell’essenza stessa delle cose, ed è questo che ci frega. Come una tappa di montagna al giro d’Italia: il vincitore alza le mani al cielo, consapevole di aver raggiunto il traguardo ma già concentrato alla prossima impresa. Questo è il senso dal quale ognuno dovrebbe partire. La sofferenza di chi vede la linea del traguardo è il segno di una salita terribile, sulla quale a momenti stavi anche per mollare, ma la forza di volontà ha avuto la meglio. C’è chi sale da solo, c’è chi si fa aiutare da qualche tifoso balordo che mette le mani dietro la sella e ti spinge su, sempre più su. Anche questi corridori arrivano al traguardo, magari tirano anche la volata ottenendo quasi lo stesso risultato di chi vince. Ma quello che conta è come si è arrivati al traguardo. Magari chi ha racimolato 3 metri di vantaggio e ha vinto lo avrà fatto solo grazie a qualche spintarella. E sul suo volto magari c’è anche la stessa espressione di sofferenza, ma è un’espressione forzata, non sincera. Oppure c’è chi stravince senza mostrare segni di cedimento, come se avesse avuto un turbo iniezione. O si è fatto iniezioni. Eppure ha raggiunto il medesimo risultato. Ma quello che conta è come un corridore ha affrontato il percorso.
Oggi il titolo è visto come un riscatto sociale, culturale, morale: nell’immaginario collettivo il pezzo di carta diventa una sorta di garanzia delle capacità personali. Sei titolato, allora sei uno buono. “Ok Joe, qua la mano”, direbbe un personaggio che a stento riconosce le lettere dell’alfabeto. Purtroppo non è così, perché se sei stato un imbecille prima non puoi, per magìa, trasformarti in un tuttologo. Se vuoi fare il salto di qualità, non devi mai dimenticare che non puoi saltare delle tappe intermedie: mostrare solo la fine è come nascondere tutto quello che c’è dietro, e che magari non c’è stato. Socrate avrebbe utilizzato l’espressione tuttologo, ne sono certo. Tanto per citarne uno, Oscar Giannino: ha preso tutti per il culo con i suoi titoli, master e via dicendo, senza però avere un curriculum degno della sua fama. Però quando andava in TV e parlava di economia o di politica, pur non avendo titoli che il curriculum gli attribuiva, metteva tutti KO. Perché è uno che ha studiato, si è informato, ha letto, pur senza conseguire un titolo. Allora è la sostanza che fa la differenza, non un pezzo di carta. Anche perché, spesso, quel pezzo di carta è l’epilogo di un percorso telematico totalmente estraneo a ogni logica didattica. Beato chi ha seguito lezioni via Skype, e benedetto il segnale di rete così stabile da mantenere in vita la connessione. Oppure quel pezzo di carta, come dice un mio amico, è stato conquistato “con i punti della miralanza”. Salite sul pulmino, si va a scuola.
Francesco Mazzocca