Il brasiliano triste, spaesato, perché lontano da casa e dagli affetti. Non riesce ad ambientarsi nella nuova realtà, la testa è sempre rivolta all’indietro, là dove è rimasto il cuore. Soffre di saudade, un termine che deriva prettamente dalla cultura lusitana, ovvero di nostalgia, una forma di malinconia che invade il corpo e la mente impedendo di vivere il presente. Un sentimento che provarono i primi coloni portoghesi, partiti dalla propria Patria per andare a scoprire il Mondo per essere poi pervasi dalla tristezza e provare solitudine una volta sbarcati Oltre Oceano. Saudade è senso di nostalgia legato al passato, che non tornerà più, e speranza verso il futuro, un domani che ci si augura possa essere come lo ieri anche se diverso, perché noi stessi saremo diversi.
Pur non essendo brasiliano e non potendo vantare avi portoghesi, di questi tempi soffro di saudade, profonda nostalgia dei tempi che furono e mi auguro possano tornare con nuovi voci. Non sono lontano da casa, non sono distante dagli effetti, ma mi mancano le telecronache di grandi professionisti e mi rendo conto, ora più che mai, quanto fossero bravi. Wimbledon per decenni è stato raccontato dalla coppia Clerici – Tommasi, i sacri e verdi campi di Londra non avevano segreti per loro, come non ne aveva il tennis stesso. La loro non era una telecronaca, ma un racconto della partita, non c’è una voce principale e un esperto che lo affianca, ma una squadra composta da due persone che conoscono profondamente la materia di cui parlano prendendo per mano il telespettatore. Il silenzio, perché sì anche il silenzio deve far parte di una telecronaca, al momento giusto, il commento tecnico quando c’è qualcosa che va spiegato usando vocaboli comprensibili a tutti, lasciando spazio alle emozioni che loro stesso provano ricordandosi sempre che lo sport è una gigantesca fabbrica di sentimenti.
Clerici-Tommasi, ma non solo. L’ultima Confederations Cup è stato un assaggio di quel che saranno i Mondiali, di giornalisti che quando c’è la partita dell’Italia perdono ogni controllo, urlano per farsi notare, usano termini tecnici fuori contesto per far vedere che ne capiscono e che cercano sempre una frase a effetto per farsi notare dimenticandosi che loro sono uno strumento non il fine. Anche Pizzul si emozionava quando segnava la Nazionale, i Mondiali del 1994 sono stati caratterizzati per i tanti gol di Roberto Baggio e il telecronista gioiva, ma non era lui il personaggio né voleva essere. Ecco, il tarlo del giornalista in televisione è proprio questo: la mania del protagonismo, la volontà sfrenata di competere con i vari atleti. Perdendo sempre.
PS Già monta la saudade nel pensare, un domani, alla fine della coppia Tranquillo – Buffa.