La copertina è verde. Per me questo è un libro rosso.
Mi capita raramente di voler restarmene dentro ad un libro il più possibile. Frenare la lettura, leggere una decina di pagine e poi appoggiarlo da qualche parte. Riflettere. Riprenderlo in mano e leggerne un’altra decina di pagine. Mi capita quando mi rendo conto di essermi imbattuto in un libro scritto con una maestria sopra la media, molto sopra la media. Non voglio sporcare la mia opinione utilizzando termini che ormai si sprecano per libri ben al di sotto di questo. Non voglio lanciarmi nell’arena dell’aggettivo, ma è fondamentale che voi capiate che “Salvare le ossa” non è un libro comune. È uno dei pochi libri sugli scaffali ora che meritano di essere presi con rispetto e riverenza.
La trama la potrei riassumere brevemente rischiando di sminuirla, ma in sostanza abbiamo una famiglia composta da un padre sulla china dell’alcolismo e i suoi figli, Esch, l’unica ragazza, Skeeth e i suoi cani (tra cui China), Randall e il piccolo Junior. Questa famiglia sta aspettando un evento senza precedenti. Sta aspettando l’uragano Katrina. Tra tutti i personaggi però ce n’è uno che aspetta qualcosa di più di un potente uragano, aspetta la nascita.
Il padre che aspetta l’uragano mi ha ricordato Giovanni Drogo che ne “Il deserto dei Tartari” aspetta un segnale dell’invasione del nemico. Aspetta da solo, senza venir quasi preso in considerazione. Aspettare diventa un’ossessione che lo proietta fuori dal tempo e lo rende solo. È forse lo stesso destino che spetta al padre di questa famiglia composta da elementi così diversi eppure in qualche modo coesa. Un fronte comune contro la distruzione, qualsiasi sia la fonte da cui deriva.
Il nucleo fondamentale di questo libro secondo me si svela in tutto il suo fulgore a pagina 104. La scena è concitata. China, il cane di Skeetah ha partorito da poco, è una madre. I ragazzi sono entrati di nascosto nella casa di alcuni vicini per recuperare del vermifugo per i cuccioli di China. Purtroppo arrivano i padroni di casa. Hanno un cane. Twist. Twist li insegue e quando arrivano correndo a casa con il cane feroce alle spalle China salta fuori dal nulla e Esch è testimone della battaglia. Dice che sembra che China stia partorendo di nuovo. Ed è in questo attimo che vita e morte diventano una cosa sola, che la creazione e la distruzione si trovano affiancate.
L’attese per una maternità inaspettata diventa attesa della distruzione, la nascita di un figlio e l’arrivo dell’uragano Katrina coabitano nello stesso insieme, diventano termini di un’operazione matematica. Può Katrina essere paragonata a Medea, può Katrina essere la madre che uccide i propri figli?
Come riassumere in poche parole questa lettura? È una cosa impossibile. La densità della scrittura della Ward è qualcosa che a tratti ti lascia senza respiro. I continui paralleli con Medea e Giasone ti obbligano ad approfondire e eliminare le lacune. Lo stile è grandioso, la parola precisa. Una frase diventa un albero che con le sue fronde ti apre mille possibilità di interpetazione. “Salvare le ossa” è un libro che non finisce nemmeno quando l’avete finito.
Una grandiosa traduzione di Monica Pareschi accompagna questa lettura che ricorderò per molti anni.
Jesmyn Ward vive in Mississippi, dove insegna scrittura creativa alla Tulane University. Salvare le ossa ha vinto il National Book Award nel 2011, e il memoir Men We Reaped è stato finalista al National Book Critics Circle Award. Con il suo ultimo romanzo, Sing, Unburied, Sing, Jesmyn Ward ha vinto il National Book Award per la seconda volta, prima donna dopo scrittori come William Faulkner, John Cheever, Bernard Malamud, Philip Roth, John Updike. NNE pubblicherà anche gli altri due capitoli della Trilogia di Bois Sauvage.