La prima guerra mondiale ha fatto da spartiacque tra il concetto antico e romantico di battaglia e quello moderno, i valori di un tempo che erano ancora vivi in quegli anni furono spezzati dalla violenza immane delle mitragliatrici e dell’artiglieria pesante. Uomini e ragazzi costretti a combattere in condizioni disumane, dentro buche profonde e larghe due metri, con il rumore costante del fuoco nemico a puntellare la testa e con l’odore di terra umida e di sangue a saturare le narici. Sono stati questi eventi terribili a tirar fuori il meglio e il peggio degli esseri umani, costretti a vivere della morte degli altri, in un posto lontano da casa, nutrendosi di pane raffermo e di poltiglia grigiastra con la paura, e a volte la speranza, che ogni momento possa essere l’ultimo.
Ernst Jünger nel libro “Boschetto 125” (Guanda editore) è testimone e protagonista della vita in trincea lato tedesco e ci trascina senza falso buonismo o moralismo dentro fosse scavate nella cruda terra, dove uomini come noi vivevano rintanati come topi nella speranza di sopravvivere a qualcosa che era più grande di loro. Siamo in Francia, sul confine tra Piccardia e Artois, nella campagna umida di pioggia, sudore e sangue dei soldati e l’autore ci narra la cronaca di una sconfitta, quella che i soldati inglesi infliggeranno a quelli tedeschi, proprio in quel boschetto che doveva essere difeso dal tenente Jünger e compagni. Poco importa però, perché con le orecchie che fischiano e rimbombano per il continuo rumore degli spari, con la possibilità di essere ancora vivi, tutto si riallinea a questa nuova realtà e perdere una battaglia non è nulla rispetto ad avere ancora una vita. Quello che colpisce di questo libro è la voglia di raccontare dell’autore, di lasciare un segno indelebile delle atrocità e delle bellezze che vedeva con gli occhi e di trascriverle su vecchi taccuini che teneva sempre con sé. Ma in mezzo a tutta questa insana violenza c’è comunque una ricerca di attimi di normalità, come leggere un libro o la posta, come scrivere oppure assaporare un raro momento di silenzio oppure fumare la pipa. Jünger descrive con crudezza e freddezza gli orrori che vedeva con i suoi occhi e che viveva sulla sua pelle, non criticando mai la guerra apertamente ma neppure elogiandola in maniera diretta, la vive e la narra e forse da questa sua visione traspare la possibilità dell’uomo di confrontarsi con una realtà che annulla le differenze sociali e obbliga a confrontarsi con sé stessi senza alcun rifugio dove nascondersi.
Ernst Jünger (Heidelberg, 1895 – Wilflingen, 1998) studiò filosofia e scienze naturali all’università di Lipsia.
Partecipò alla prima guerra mondiale e descrisse le proprie esperienze belliche in Nelle tempeste d’acciaio, un’opera che è stata spesso recepita come una glorificazione della guerra. Criticò la democrazia della Repubblica di Weimar, ma non appoggiò attivamente il Partito nazional socialista. Dopo la seconda guerra mondiale venne tuttavia accusato di connivenza con il regime. Intrattenne una fitta corrispondenza con molti noti intellettuali tedeschi, tra cui Carl Schmitt e Martin Heidegger.
Intellettuale tra i più discussi del XX secolo, Jünger è noto anche per i suoi comportamenti anti convenzionali tra cui la sperimentazione dell’LSD.