Per quel che riguarda la musica (e a dire il vero anche per la letteratura) sono tendenzialmente esterofilo. Non c’è un motivo preciso, almeno nulla di razionale a cui appigliarmi, e non è nemmeno un implicito giudizio di merito. Probabilmente il fatto che da piccolo non capissi una parola di quello che cantavano gli autori di lingua inglese mi permetteva di inventare testi a caso, seguendo le assonanze e il ritmo. Ci potevo mettere del mio, con le canzoni italiane no, non sono mai stato un amante degli strafalcioni rimati sulle melodie.
Come conseguenza di questa mia conclamata esterofilia non ho mai apprezzato il Festival di Sanremo. L’ho sempre trovata una kermesse pomposa, pachidermica, vecchia nel modo di proporre musica, vecchia nel modo di essere condotta, vecchia nel pubblico e spesso anche nei cantanti.
Da qualche anno a questa parte però si è assistito ad un fenomeno particolare. A Sanremo l’hanno fatta da padrone i giovani cantanti prodotti dai Talent Show televisivi. Talent che ovviamente esprimendo il “meglio” del panorama musicale italiano non seguo. Non ne ho il minimo interesse. Per dirvi quanto sia radicato all’interno della musica italiana potrei elencarvi brevemente le ultime cose che ho ascoltato in questa settimana: Daft Punk, Vampire Weekend, Primal Scream, Koop, Garbage e, oggi, Fleetwood Mac.
Perciò non credo di essere la persona più indicata a parlare di musica italiana e, in effetti, il mio discorso è un po’ più ampio e coinvolge il genere dei Talent Show musicali nella sua interezza, se vogliamo, li coinvolge in quanto fenomeno mondiale con un preciso scopo.
Le case discografiche si sono trovate a dover affrontare un nemico ben agguerrito. La pirateria, come Idra, ha molte teste e quando ne tagli una ne crescono altre tre. E’ un avversario molto difficile da afferrare, tipo un’anguilla che sguazza nel pantano di un fossato scuro e putrido. Pur dispiegando mezzi enormi, il risultato, in questo momento, pende ancora verso la musica gratuita. Ci sono degli esempi “virtuosi” ai quali, se volete, ci si può attaccare per affermare che alla lunga anche su internet tutta la musica verrà acquistata regolarmente, ma io sono diffidente e credo che questi esempi siano destinati a rimanere casi sporadici con una clientela percentualmente più bassa rispetto a chi la musica la ritiene un diritto da poter sfruttare gratuitamente.
E’ innegabile che la pirateria porti un danno economico alle case discografiche, se prima a comprare un CD erano in 10 ora quei dieci sono diventati 2 o 3, ma è altrettanto evidente che uno dei refrain utilizzati dalle suddette case discografiche per “sconsigliare” la pirateria – se la gente non compra più musica non ci saranno soldi per investire su giovani cantanti e band – sia leggermente forzato.
A prescindere dalle grandi etichette, ci sono state centinaia e migliaia di nuove proposte che hanno avuto più o meno fortuna. Non ho sottomano le percentuali, ma direi che non si dovrebbero discostare molto da quelle pre boom della pirateria. Gli emergenti, soprattutto all’estero a dire il vero, hanno trovato canali diversi per farsi sentire, spesso hanno abbracciato l’autopromozione, ancora più spesso è stata proprio la rete a fare da cassa di risonanza per l’ultimo fenomeno musicale. A lavoro pressoché fatto poi ci hanno pensato le grandi etichette a far fare il grande salto. Prima si potevano permettere di fare loro la selezione, pubblicando opere prime di cento artisti per poi appoggiarne con convinzione solo una percentuale. Non inizio nemmeno ad elencare tutti i CD di band e cantanti esordienti che ho regolarmente acquistato e che sono rimasti senza un seguito. E’ una questione di vendite, di introiti, di fatturato, di numeri in sostanza. E’ l’economia che muove questo settore, proprio come tutto il resto.
A me quindi sembra evidente che le case discografiche cerchino di puntare su prodotti sicuri, a volte preconfezionati, come molto spesso accade con le classiche boy band che hanno un pubblico predefinito, che magari vengono progettate a tavolino (stile Spice Girls) e che cercano di spremere fino a che l’immagine del prodotto e quella del pubblico non coincidono più. A quel punto si crea o si sposa la carriera di una altro prodotto e così via in eterno.
Questo schema ricorrente è riscontrabile anche in letteratura, ma li le cose sono un po’ diverse e non è il momento giusto di affrontarle ora.
I Talent hanno dunque alcune caratteristiche che li rendono perfettamente adatti alla situazione della musica attuale. Il vincitore di un talent viene spinto verso la vetta dal pubblico. Quando esce trionfante dalla finale ha già un seguito. Mamme simpatizzanti per uno che ha la faccia di un figlio che hanno o non hanno avuto, ragazzine adoranti, ragazzini che cercano un modello, amici, compaesani, aggiungete voi. Sono già un prodotto vendibile in un mercato ristretto. E’ su questo che le case discografiche puntano. Puntano su un cavallo vincente. Sanno che non dovranno spendere più di tanto in pubblicità perché l’ovazione del pubblico li ha già portati a fare pubblicità (vedi il caso di Chiara e la Tim). Sono già dei fenomeni del marketing in grado di vendere qualsiasi cosa. Poi, esaurita l’ondata di interesse, c’è comunque un talent pronto a sfornare un nuovo fenomeno di massa. La Ferreri è durata lo spazio di un respiro ed è stata sostituita da una Emma, da un Mengoni. Son tutti nomi che pure uno come me, uno che non guarda i Talent e non ascolta musica italiana non può non aver sentito nominare fino all’esaurimento.
La mia conclusione è una. Le case discografiche favoriscono il proliferare dei talent perché su una struttura relativamente economica possono creare fenomeni musicali da bruciare con estrema velocità. E si badi che il mio non è un giudizio sulla bravura o meno di questo o quel vincitore, è una constatazione molto amichevole del fatto che il filtro, in questo caso, lo fa la gente a casa, a proprie spese. E siccome a mandare sms per votare sono bravi soprattutto gli adolescenti che si consumano le dita e disintegrano ricariche, è anche normale che alla fine i prodotti che ne escono si assomiglino tutti un po’ e si rivolgano più o meno tutti alla stessa fetta di pubblico.
Quindi, a mio parere, i talent sono la risposta vendicativa delle case discografiche nei confronti di quelli che preferiscono scaricare gratuitamente la musica invece di pagarla. Sappiate che se avete appena scaricato da torrent l’ultimo album della vostra rockstar preferita è probabile che vi tocchino altri tre anni di Talent Show prodotti in serie che sfornano prodotti in serie. Tutto questo avrà fine solo quando il modello sarà talmente tanto usurato da non produrre più utili e, a quel punto, le case discografiche si dovranno inventare un nuova formula per navigare in un mercato in cui l’insidia della pirateria è, e sarà sempre, presente.
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