L’attesa è stata lunga, ma credo ne sia valsa la pena.
Grazie a Spotify ho ascoltato subito il nuovo lavoro dei Pearl Jam. Il tempo passa, ma la grinta di Eddie Vedder e soci rimane la stessa. Sono passati più di vent’anni da quel fantastico album di esordio che è stato Ten, che me li ha fatti conoscere e amare. Nel tempo hanno condiviso, con i Nirvana soprattutto, lo scettro di paladini del grunge. Ma il grunge nel tempo è sfumato, e anche la musica dei Pearl Jam ha preso nuove strade del rock, restando però sempre genuina, senza perdere mai minimamente valore.
Di primo acchito Lightning Bolt è un album che ti sa conquistare, prima ti prende con la grinta, poi ti ammalia e ti entra nell’anima. E la cosa straordinaria è come ora, alla stessa maniera di vent’anni fa, sembra che i PJ suonino per te. Aveva ragione Ligabue quando diceva “certe notti la radio che passa Neil Young sembra avere capito chi sei”. Anche se passa i Pearl Jam questa volta, che però non hanno mai nascosto di ammirare Neil Young.
In questo album danno tanto, è un buon disco con venature di country, blues e funk. Senza assomigliare a nessuno dei precedenti album in particolare, ma ricordando VS. Vitalogy e a tratti anche Yield.
Il disco parte con Getaway, un brano semplicemente rock, e per questo rassicurante, per continuare con Mind Your Manners, decisamente punk e molto simile a Spin the black circle. My father’s son intensa, ma credo che se non la cantasse Vedder non sarebbe niente di che. Arriviamo a Sirens, che aveva anticipato l’uscita dell’album e aveva fatto un po’ discutere i fan della band, la trovo una bellissima ballad, onestamente non riesco a stufarmi di ascoltarla. La title track Lighting bolt giustifica il suo ruolo, bella bella, un’altra canzone da ascoltare e riascoltre. Segue Infallible, che non mi convince, consideriamola una pausa, un brano-collante. Però poi c’è la perla dell’album, Pendulum, psichedelica, glam, morriconiana. Fenomenale. Swallowed Whole è un’altro brano classico, sembra venuto fuori da uno dei primi tre dischi. Per calmarci passiamo a un blues, Let the records play, e alla ballata folk Sleeping by myself, già proposta da Eddie Vedder solista e qui riarrangiata per l’occasione. Forse per riempire un buco, segue Yellow Moon, canzone non brutta, ma di quelle che personalmente non mi lasciano niente, un riempimento appunto. Il disco si chiude con Future Days, canzone perfetta per chiudere nel migliore dei modi l’album. Quando ero ragazzino ascoltavo spesso la musica con il walkman nel letto prima di dormire. Ecco, questa è la canzone perfetta prima di togliere le cuffie, conciliante e morbida.
Sicuramente ci troviamo di fronte al miglior album dai tempi di Yield, con bellissime tracce, e qualche riempitivo comunque di sostanza. Non fate paragoni con i primi album, le persone crescono, cambiano, ma io che in fondo sono cresciuto con la loro musica apprezzo molto il vibe che trasmettono ancora. Non sono i soli, ma anche loro sono la dimostrazione che il rock non morirà mai.
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