Realtà distopiche che fanno accapponare la pelle. Un mondo in cui l’essere umano è visto alla stregua di un bene economico e ha un rating. Io probabilmente sarei un B o forse non sarei nulla. I migliori sono in classe A. I tripla A sono semidei che non invecchiano mai. Vivono, ma in realtà mi sembrano imprigionati in un limbo che li dematerializza, li priva degli elementi vitali. Soprammobili che prendono polvere.
Il libro di Paolo Pasi “La canzone dell’immortale” parla di questo. Strutturato con un andamento a fasi alterne abbiamo il lato A dei semidei e il lato B dei normali, degli scarti. La storia inizia quando al lato A viene commissionata una canzone e il lato B viene introdotto ad un nuovo lavoro. Una sorta di ministero che deve decidere il grado di impatto emotivo delle canzoni. Una cosa che se ci pensate è terribile e in qualche modo ricorda certi echi di Fahrenheit 451. Una delle ultime frontiere del controllo delle emozioni.
Oltre all’altalenante passaggio tra lato A e lato B c’è anche un’alternanza di stile che accompagna i due lati della medaglia. Lo stile associato all’immortale, al lato A dunque, è contemplativo, etereo. Sembra che le cose vengano osservate da una distanza siderale. Non c’è reale contatto tra il protagonista a ciò che lo circonda. Per quel che riguarda il lato B invece siamo di fronte ad uno stile più diretto, più calato nella quotidianità. Se dovessi dare a tutti i costi una definizione direi che lo stile del lato B è ancorato alla realtà che conosciamo mentre quello del lato A è ancorato alle realtà che temiamo di dover affrontare in futuro.
Poi, tra tutti gli elementi interessanti che propone questo libro, ce n’è uno che mi ha colpito più di tutti. Il fatto che l’immortale, per essere ciò che è, ha dovuto rinunciare alla creatività. Come se la cosa che definisce l’essere umano, che lo distanzia dalle macchine sia quel guizzo creativo costante. Quell’impellenza a voler creare qualcosa di nuovo, qualcosa che lasci traccia di noi su questo mondo. Un giorno un B qualsiasi potrebbe morire, ma lasciare una testimonianza lucente. Un giorno un A qualsiasi potrebbe essere in vita senza che nessuno se ne accorga.
Il libro Pasi offre degli spunti interessanti, coniugando vecchie chiavi di lettura della fantascienza con elementi nuovi e, appunto, creativi.
Paolo Pasi (1963, milanese) è giornalista alla Rai. Ha vinto il premio giornalistico Ilaria Alpi e, nel 2005, il premio Giallomilanese. Nel novembre 2000 ha esordito con la raccolta di racconti Ultimi messaggi dalla città (ExCogita di Luciana Bianciardi, prefazione di Dan Fante). Altre raccolte di racconti, sempre pubblicate da ExCogita, sono Storie senza notizia e Le brigate Carosello (con prefazione di Fernanda Pivano). Il suo primo romanzo, L’estate di Bob Marley, è stato pubblicato nel 2007 (Pironti Editore). Per Edizioni Spartaco nel 2009 è uscito Memorie di un sognatore abusivo, accolto in maniera lusinghiera dalla stampa («Un cocktail dove Zavattini sembra andare a braccetto con Orwell e Cronenberg» la Repubblica; «Una distopia scorrevole e beffarda» Corriere della Sera; «Uno dei migliori romanzi futuribili italiani degli ultimi anni» Il Giornale). Paolo Pasi è anche chitarrista e compositore: il cd Fuori da schermi raccoglie nove canzoni, di cui ha scritto musica e testi.