Ogni volta, è come scoprire l’acqua calda. Cosa c’è di nuovo nel vedere la squadra più ricca fallire? Sarebbe una notizia fragorosa se fosse una novità, invece è quanto ci racconta ogni anno lo sport. L’ultimo esempio è quello dell’Olimpia Milano, la squadra di basket di proprietà di Re Giorgio Armani, eliminata ai quarti di finale del playoff scudetto dalla Montepaschi Siena, proprio nell’anno in cui la banca senese ha tagliato radicalmente i fondi.
Milano non vince un campionato dal 1995, e questo doveva essere l’anno giusto per tornare alla vittoria. Budget più corposo in Italia, tra i più ricchi in Europa, allenatore di fama internazionale come Sergio Scariolo, giocatori tra i migliori in circolazione, roster, ovvero rosa, profondissimo. Una corazzata, ma solo sulla carta, perché già alle prime partite è crollata che si è trovata a proprio agio sul parquet come un elefante in una cristalleria. Squadra costruita male, allenatore incapace di trasmettere gioco e mentalità, società assente, giocatori appagati dagli ingaggi, rappresentano gli ingredienti per la più classica delle frittate sportive.
Quello dell’Olimpia è l’ultimo caso che dimostra la non ovvia correlazione, fortunatamente, tra ricchezza del club e risultati. Il successo nello sport dipende soprattutto dallo spirito che aleggia nello spogliatoio, luogo mitizzato, ma che rappresenta davvero il fulcro di una squadra. Se i giocatori capiscono che il noi viene prima dell’io, accettano di mettere a disposizione del collettivo il proprio talento per vederselo restituito sublimato, si è gettata la pietra angolare attorno cui costruire i successi. Pensate alla finale di Champions League, Bayern e Borussia Dortmund, così uguale, così diverse: costruite con attenzione ai giovani, una ha speso tanto, l’altra no. Spendere aiuta, ma talento, spirito di sacrificio, mentalità vincente non provengono automaticamente dal dio soldo.