Chiunque si approcci a leggere José Saramago deve essere pronto a immergersi fino al collo nella complessità sognatrice dei suoi scritti. Deve avere il coraggio di perdersi nelle sue lunghissime frasi dove la punteggiatura è utilizzata secondo le regole imposte dall’autore e non sempre dalla logica comune. Deve accettare che possano succedere fatti inspiegabili e surreali senza porsi troppe domande ma con la consapevolezza che anche da queste situazioni si possa uscire in qualche modo. In poche parole deve essere pronto a lasciarsi andare senza pensare troppo. Saramago era ironico e giocava con i lettori conducendoli in strade irte di pericoli ma non abbandonandoli mai. Era una guida silenziosa che si divertiva a osservare.
“Il racconto dell’isola sconosciuta” (Feltrinelli) è una moderna e incantevole favola, datata 1997. Narra di un uomo pronto a tutto per partire alla ricerca di un’isola sconosciuta. Un uomo che nella sua lucida follia di sognatore è coraggioso e non ha paura di chiedere al re in persona una caravella per solcare i mari e trovare un’isola che ancora non appare sulle carte geografiche. Il re all’inizio è titubante ma quando capisce che si metterebbe contro il popolo accetta le richieste del giovane. Ad accompagnarlo in questo sogno ci sarà la donna delle pulizie che lavorava proprio per il re. Nasce da questo spunto una favola d’amore, intrisa di sogni e ironia. L’uomo non sa nulla di barche, di mare e neppure di navigazione, ma ha un sogno così grande che riesce a sopperire qualunque mancanza. E la donna vede in lui il coraggio di lasciarsi andare alla vita e ne rimane totalmente rapita. A farci immergere ancor più nella favola vi sono le immagini tratte dall’Atlante di Battista Agnese del 1553.
Per chi ama Saramago leggere questo racconto è un buon modo per perdersi nelle sue parole ancora una volta, per chi non lo conosce è un ottimo modo per approcciarsi all’autore portoghese e sentirsi in colpa per non averlo fatto prima.
La complessa traduzione è affidata a Paolo Collo e Rita Desti.
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La conoscete quella del leone e della gazzella? Alcuni se la ricorderanno grazie allo sketch di Aldo, Giovanni, Giacomo, altri ancora la avranno sentita raccontata da qualcuno, altri letta da qualche parte. La gazzella che deve correre più veloce del leone per non non essere mangiata, il leone che deve correre più veloce della gazzella se non vuole morire di fame. Ecco, questa è la storia, una storia che mi è ritornata in mente sfogliando le pagine di un giornale. Le notizie sono come il leone e la gazzella. Ogni giorno si rincorrono, iniziano una vita completamente distaccata dai fatti che raccontano, separati dalla vita. Si inseguano, si diceva, e lottano. Per non cadere nel dimenticatoio, per non essere dimenticate, per non cadere nell’abisso. E’ il destino cui è andato incontro l’assegnazione nel 2012 del premio Nobel per la pace all’Unione Europea, un fatto che molti, io compreso, avevano completamente dimenticato. Perché questo riconoscimento all’Europa? Perché stiamo attraversando il più lungo periodo di pace nella storia del nostro continente, questo ombelico del mondo che ha conosciuto ogni secolo la guerra. Dalla fine della seconda guerra mondiale, solo pace. Con effetti benefici per tutti, con le nostre generazioni che sono state baciate dalla fortuna. Quella pace sempre a rischio nel resto del mondo, quella pace messa in bilico in Siria, quella pace per cui l’Unione Europea dovrebbe essere la promotrice numero uno. Invece, ognuno procede in ordine sparso, ogni Nazione con la propria idea. Così, l’Unione Europea stenta, fatica, non è credibile agli occhi degli interlocutori. Quella pace, si diceva, che dovrebbe essere l’obiettivo numero uno, ma che è improbabile da raggiungere se gli stati europei (Italia in testa) vendono armi agli Assad di turno. E poi, c’è un altro premio Nobel per la pace. Barack Obama. Ancora oggi bisogna trovare il senso per un riconoscimento così prestigioso. Appena eletto Presidente degli States, ecco il premio. Senza aver fatto nulla. Ora si parlerà di guerra in Siria scampata, mentre in quel Paese è in atto, ogni giorno, una lotto civile sanguinosa, animalesca. Spetterebbe alla politica, alle diplomazie mettersi al lavoro per far cessare il fuoco. Si può fare? Sì, a patto che ogni Stato metta sul tavolo il buonsenso e il pragmatismo. Quello che manca.