Ventisei marzo 1979. Magic e Bird, Bird e Magic. Due nomi legati per l’eternità, due campioni che hanno rilanciato la Nba, una storia che ebbe inizio negli anni del College. Trentacinque anni fa, Larry Bird di Indiana State e Earvin “Magic” Johnson di Michigan State si affrontano nella finale del torneo NCAA (il basket universitario). “March Madness”, la follia di marzo, pochi giorni in cui gli americani sono attirati dagli incontri tra le squadre dei college. Uno spettacolo fenomenale.
Nessuno però allora poteva pensare che avrebbero assistito alla partita che, ancora oggi, resta la partita universitaria più vista in televisione. Michigan e Indiana sono trascinate da due che vengono considerati dei fenomeni. Magic (soprannome che gli è stato dato ai tempi del liceo) sorride, ispira simpatia: è un ragazzone di colore di 20 anni, è alto più di due metri, ma gioca playmaker, e lo fa in maniera deliziosa con giocate paranormali con una capacità di assist impareggiabile. Larry Bird sembra essere il contrario di Johnson: sorride poco, è schivo, riservato, è un ragazzone bianco dal talento indescrivibile. Ha tre anni in più di Magic, è alla sua ultima partita con Indiana: il suo futuro è in Nba, già l’anno prima è stato scelto come sesta scelta al Draft dai Boston Celtics.
Larry e Magic si conoscono: nel 1978 hanno giocato come compagni di squadra al World Invitational Torunament, lì hanno capito che il rispettivo talento avrebbe portato loro a scontrarsi diverse volte, lì si sono riconosciuti: “questo sarà il mio più grande rivale”.
Larry si presenta a quella partita cercando di togliere la pressione: “Significa probabilmente più per i miei compagni e per la squadra che per me. Pensavo saremmo stati qui l’anno scorso. Non importa se si vince o si perde, io avrò i miei soldi”. Bird è fiducioso nei suoi mezzi, sa di essere un’ala che è destinata a palcoscenici più prestigiosi, è consapevole che nei suoi confronti c’è molto scetticismo, nonostante tutto, nonostante il contratto, nonostante i punti realizzati. Magic è il classico ragazzo per cui tutti provano simpatia: gioca da Dio, sprizza entusiasmo da ogni singolo poro della pelle, sorride sempre e mette di buonumore chi lo osserva.
Chi era presente quel giorno al Special Events Center di Salt Lake City sperava di assistere a una finale emozionante, ma mai avrebbe potuto immaginare che quella sarebbe stata la prima partita di una rivalità che ha segnato un decennio.
Indiana arriva in finale vincendo tutte le parte, con un record di 33 vittorie, ma tutti gli esperti indicano in Michigan la squadra favorita. Non si sbagliano. E’ una partita intensa, la difesa degli Spartans è micidiale (Johnson rivelerà poi che nei giorni precedenti lui si era allenato imitando i movimenti di Bird per adeguare i compagni), Magic orchestra il gioco alla perfezione, Larry ha una serata di tiro storto. Capita. “Siamo molto simili. E’ solo più tranquillo di me. Pensa che mi imitava negli allenamenti?” La risposta di Bird: “No”.
Nemmeno loro potevano pensare a cosa avrebbe riservato loro la storia. Magic vincerà il titolo Nba al primo tentativo con la divisa dei Lakers, Larry dovrà aspettare ancora qualche anno. Si scontreranno tre volte nelle Finals Nba (2 per Johnson, 1 per Bird), saranno protagonisti di quella irripetibile avventura chiamata Barcellona 1992. Una rivalità che è diventata amicizia. Quando Magic annuncia il ritiro per l’Aids, uno dei primi a essere avvisato, con un messaggio personale, è proprio il grande rivale. E’ rispetto. E’ amicizia, come racconta Magic:
“Sia io sia Larry siamo forti, volitivi, decisi, ma a volte questa armatura è indebolita. Per quanto io possa apparire forte ho comunque bisogno di un amico che mi dica che è lì a supportarmi. Non è necessario parlare ogni giorno e noi non lo facciamo; ma so che se ho bisogno di qualcosa lui ci sarà, e lui sa che se avrà bisogno di qualcosa io ci sarò. E quando ci incontriamo e ci salutiamo sono contento, e mi basta per l’anno o i due anni successivi, fino al momento in cui non ci incontreremo di nuovo”.