Due persone che stanno assieme per anni tendono ad assomigliarsi. La copertina di questo volume sembrerebbe dare ragione a questo vecchio detto, ma aldilà della somiglianza fisica che salta all’occhio, leggendo “La morte di Virginia” ci si rende conto che Virginia e Leonard erano due persone profondamente diverse.
Qualche mese fa ho letto un diario della Woolf e la sensazione era di aver di fronte una persona talmente tanto dedicata alla scrittura da avere spazio per poco altro. La scrittura era una sorta di buco nero dal quale la luce non riusciva a sfuggire.
Oggi, grazie a Lindau che lo pubblica, abbiamo la possibilità di aggiungere una nuova prospettiva alla vita di Virginia Woolf, quella dell’uomo che l’ha accompagnata attraverso il suo cammino artistico e che alla fine l’ha seppellita.
Leonard Woolf ripercorre con la memoria un periodo critico della loro vita. Il cielo europeo era coperto da nuvole scure, Hitler era in piena espansione, la Germania era alle porte e cercava di entrare in Inghilterra. I raid aerei costringevano le persone, anche i Woolf, ad un mesto rituale di continui spostamenti da una casa all’altra. Le persone tendevano a ridurre le distanze convinte che la vicinanza del prossimo le avrebbe salvate da un infausto destino.
Era Leonard a mantenere i contatti con il mondo esterno. Difficilmente ci sarà una testimonianza in cui vi verrà detto che Virginia Woolf ha avuto parte attiva in qualcosa che fosse diverso dallo scrivere. Era Leonard ad interagire con la vita delle altre persone, era lui a trovare del bello anche nel pieno dei bombardamenti nazisti. Il soldato polacco che per due giorni si fa travolgere dalla lettura dei libri trovati in casa Woolf o il soldato ceco che trova relax leggendo una traduzione di uno dei libri di Virginia Woolf.
Nel paragone tra i due, Leonard risulta quello più umano, forse più tridimensionale. Eppure, nel modo di raccontare gli eventi (guerra e suicidio) della moglie, a tratti, ho percepito un certo distacco scientifico. Distacco che voglio interpretare con la necessità di porre della distanza tra sé e quando successo per poter raccontare meglio. C’è solo un momento, verso la fine del libro, quando confessa al proprio pubblico di non aver saputo cogliere i segnali dell’ondata depressiva che stava per travolgere la moglie. Lì, in quelle parole misurate, ho scorto una giustificazione, una sottile richiesta di perdono. A sua moglie e a chi ha amato i suoi scritti.
Sono felice che Lindau abbia deciso di pubblicare questo breve volume. “La morte di Virginia” permette a tutti gli amanti della Woolf di aggiungere dei particolari importanti al ritratto che hanno dell’autrice.
Sono altresì felice che Lindau, con la collana “Senza Frontieri” non si sia limitata a pubblicare un genere, chessò, narrativa, ma abbia deciso di spaziare tenendo, come punto fermo, la qualità dei titoli.
Una menzione anche alla traduttrice Paola Quarantelli. Well done.