Il Giro d’Italia è un po’ come la Pasqua: quando arriva, arriva, ma soprattutto quando inizia significa che l’estate è ormai alle porte e i pomeriggi iniziano a diventare lunghi e assolati. Quando si è a scuola, l’inizio della corsa rosa ha un solo significato: il tempo delle lezioni sta finendo e per tre mesi tana libera tutti. Quando si è più grandi, invece, parte la classica considerazione sul tempo che corre veloce come una macchina di Formula 1: ma come è già iniziato il Giro? Sì, è iniziato sabato a Napoli, domenica ha toccato Ischia e ora la carovana si sposterà in giro per la nostra Italia.
Al suo seguito anche le telecamere della Rai, i cronisti (Cassani ormai diventato la Bibbia per il telespettatore medio), tutti gli operatori della comunicazioni pronti a raccontare le gesta dei corridori. Chi si è sintonizzato su Rai 3 ha avuto subito una sorpresa. Le tradizionali grafiche non sono più in italiano, ma in inglese. Fight for pink, chasing group, front of the race sono i nuovi termini. Si dirà, è il segno dei tempi, il Giro è sempre più un evento internazionale seguito in tutto il mondo e in più quest’anno c’è il campione britannico Wiggings, normale che sia stato preferito l’inglese all’italiano. Una scelta che lascia perplessi. Per seguire una gara di ciclismo, non è obbligatorio conoscere le lingue straniere: il significato di peloton è ignoto a molti, ma bastano tre giorni per capire senza aiuti che sia il termine francese per indicare gruppo. Si rinuncia alle tradizioni in nome della internazionalizzazione e della modernità, rinunciamo alla nostra lingua per apparire più appetibili dal mercato. Non capiamo così che sembriamo senz’anima, senza radici.