Ho sempre aberrato la finzione letteraria, ritenendola al limite del grottesco e del comico. Tuttavia ho ritenuto di dover modificare tale giudizio, per una ed una sola volta, in considerazione sia del contenuto sia del contesto o dell’opportunità. La filosofia, infatti, si connatura nell’atemporalità, si sostanzia al di fuori del tempo e, per certi versi, perfino dello spazio e dunque la giustifica e la rende lecita. La ammette. Ecco, dunque, a voi lettori questo pezzo. Al solito se avete del tempo da perdere.
Incontro Immanuel Kant in un piccolo cafè del centro di Koninsberg, dalla facciata di marmo bianco e dagli interni in legno scanalato, il tutto eseguito seguendo rigorosamente la maniera neoclassica. E’ una giornata assolata e afosa ed il professore ha appena fatto ritorno dalla sua quotidiana passeggiata. Si siede, appoggia delle carte sulla tovaglia di broccato bianco e mi guarda, quasi ad esortarmi a porre inizio all’intervista. L’imbarazzo mi coglie e lui, da gentiluomo navigato qual è, mi trae di impaccio. ” Buongiorno” “Buongiorno” faccio eco sommesso. “Iniziamo?” chiede con cortesia e pragmatismo ridestandomi dal tepore che mi aveva pervaso. “Oh si certo, beh è chiaro che è un onore per me intervistarla, le sarei grato se potesse sviscerare ed illustrare la sua concezione gnoseologica”. Lui si ferma qualche istante a ponderare la risposta e poi inizia “Si principi da una constatazione banale in apparenza, ma al contempo basilare e necessariamente precipua: l’uomo conosce solo ed esclusivamente tramite la percezione. Bene appurato ciò si constaterà che tale istanza non ha una presa diretta sulle cose del mondo, al contrario subisce una mediazione. In altri termini, il soggetto nel momento in cui si approccia alla realtà non la assume direttamente, perché così senza filtri essa sarebbe inconoscibile, al contrario egli ha posti in sé, e dunque intrinseche e innate, degli elementi apriori che gli permettono di conoscere. Si tratta dunque di istanza a priori che si pongo all’origine della conoscenza e ne sono la conditio sine qua non. Sono forme intellettive che sono gli “occhiali”, mi conceda la metafora, attraverso i quali l’uomo deve necessariamente osservare la realtà. Certo poi si pone il problema dei limiti dell’intelletto umano, che non può afferrare che la superficie della realtà (il così detto fenomeno ndr) senza neppure scalfire la cosa in sé ( o noumeno ndr), che si configura, a tutti gli effetti, come una sorta di concetto limite. Di nozione ultima, che non possiamo conoscere, ma che sentiamo, percepiamo”.”Certo, ma questa sua teoria non è stata scevra di critiche, cosa risponde a quanti le imputano di aver sì fatto un notevole balzo in avanti avendo interiorizzato la questione gnoseologica, ma al contempo di aver spinto all’eccesso l’assolutizzazione dell’apriori?” “Beh innanzitutto li ringrazio per i complimenti” risponde e poi si lascia andare ad una risata spensierata, ma sempre composta, quasi solo un abbozza “lasciando da parte le facezie posso dire che certamente è un problema, una criticità e magari finanche un punto debole della mia teoria. Però pregherei costoro di seguirmi all’interno del ragionamento: non è forse questo il pegno da pagare in vista dell’oggettività della conoscenza? Se poi ritengono di voler scadere nell’entropia e nel più becero relativismo sappiano che non mi potranno annoverare tra i loro accoliti”. Finito di proferire l’ultima sillaba dell’ultimo vocabolo inclina leggermente il capo e prima che io possa pronunciare la domanda seguente dice “Possiamo interrompere?”.