Il disincanto prima di tutto significa liberarsi da un’illusione. Questo è l’atteggiamento inattuale che soprattutto, in questi tempi bui e omologati, si dovrebbe avere il coraggio di sposare se non si vuole correre il rischio di estinguersi anonimi in una massa che comodamente ama riconoscersi nella filosofia del gregge.
Emil Cioran scrive che nelle epoche torbide bisogna leggere e rileggere gli inattuali e i disincantati, altrimenti saremo davvero spacciati.
Annibale Gagliani, giovane scrittore salentino e giornalista promettente, è consapevole di questa piccola verità e nel suo Impegno e disincanto in Pasolini, De Andrè, Gaber e R.Gaetano si avventura, direi anche magnificamente, nel Novecento letterario e cantautoriale scrivendo un saggio importante su quattro grandi esponenti culturali del disincanto artistico e esistenziale.
L’autore li definisce quattro fuoriclasse del secolo scorso. Noi sicuramente non possiamo dargli torto.
Quattro grandi intellettuali dissidenti accomunati dall’eresia.
Annibale Gagliani scrive di Pasolini, De Andrè, Gaber e Gaetano. Quattro esercizi di ammirazione in cui il giovane autore salentino indica nella loro frequentazione e riscoperta la strada maestra per raggiungere un Umanesimo nuovo. Davanti a questa orribile epoca di tenebre si assiste a uno svuotamento delle coscienze. Per scongiurare l’estinzione è necessario guardare verso l’altrove del disincanto.
Pasolini, lo scrittore corsaro che prende a ceffoni la società e il suo tempo e che con la sua produzione letteraria d’impegno civile attraverso i romanzi, la poesia e il cinema cerca nuove strade per contrastare il conformismo e la nuova lingua del consumismo che avanza nella sua marcia di annientamento degli individui.
«Perché corsaro ? Pasolini è saturo di disgusto, stanco del vilipendio umano portato in atto dal potere del consumo.Attorcigliato in un pessimismo cosmico impenetrabile, decide di salpare con il suo veliero giornalistico, per liberare (utopia mica male) il Paese, che secondo lui, è in piena balia dei vizi della classe borghese».
Nel nome dell’eresia anche Fabrizio De Andrè, che naviga in direzione ostinata e contraria, prova lo stesso disgusto dello scrittore friulano.
Le affinità artistiche e ideologiche tra l’autore di Scritti corsari e il cantautore sono sorprendenti. Gagliani le individua tutte. Nei sogni di anarchia di Faber (anarchia come modo di essere e non un’appartenenza) c’è una stagione dell’impegno e una critica alla crisi irreversibile della società in preda al dominio del capitalismo e di quel fascismo dei consumi, che lo stesso Pasolini condanna con tutto il suo carico devastante di omologazione culturale.
«De Andrè si serve del verso libero, il suo classico vituperium, per redarguire speditamente il mondo che si lancia a peso morto nel Duemila».
Fabrizio De Andrè, nel libro di Annibale Gagliani, passa il testimone a Giorgio Gaber e al suo Signor G, altro peso massimo dell’eresia e dell’anticonformismo in posizione estrema e voce assoluta e libera fuori dal coro.
Giorgio Gaber amava definirsi “un filosofo ignorante”. Come Socrate, questo straordinario pensatore della nostra canzone d’autore sapeva di non sapere e la sua straordinaria umiltà ha fustigato tutto il conformismo e la stupidità dilaganti in questo mondo governato dalle apparenze e da un modo ipocrita di essere sani e liberi.
Attraverso il teatro canzone e il teatro d’evocazione, Gaber non è mai stato tenero con il suo tempo. Antagonista radicale nei confronti di ogni forma di potere, ha detto cose bellissime sull’amore, ha fustigato senza fare sconti l’ipocrisia e il conformismo e si è scagliato contro la politica e l’avidità umana.
Gaber, irriverente voci fuori dal coro che non si nasconde dietro i suoi testi, e soprattutto libero pensatore che non ha paura di affrontare a viso aperto la maschera del conformismo e il leviatano del perbenismo, che riduce l’essere umano a un manichino che fa finta di essere sano
A quell’uomo smarrito e senza illusioni, inserito in un sistema che tende a schiacciarlo, Gaber si rivolge con durezza. È altrettanto severo nei confronti dell’uomo senza qualità e lo spinge a vivere diversamente, a cercare un senso alla propria esistenza.
Il signor G in punto più alto della riflessione gaberiana.
«Il Signor G intuisce tutto, grazie alla smisurata sensibilità di pietas nei confronti del mondo.Il potere senza volto profetizzato da Pasolini e la cerimonia parodistica della società decaduta ne La domenica delle salme di Faber, trovano un fenomenale parallelo sul proscenio: Mi fa male il mondo».
Rino Gaetano, per Annibale Gagliani, diventa l’erede designato per garantire una continuità coerente dell’arte disincantata nel Duemila.
Vibrano di eresia le corde autoriali dell’ antieroe pitagorico. Dalla parte degli eretici e degli infedeli, Rino Gaetano, un cantautore ( ma soprattutto un grande poeta) che ha rappresentato un unicum nella storia della musica italiana.
Con le sue canzoni ironiche di denuncia del potere è stato un’irriverente spina nel fianco della cultura conformista e perbenista.
Con la sua musica e con la poesia si è ribellato al sistema. In molte canzoni ha dato voce a chi voce non aveva e soprattutto non ha mai risparmiato critiche alle deviazioni di ogni forma di potere e delle sue trame occulte.
Molti avrebbero voluto mettere il bavaglio alla libertà di Rino. Lui ha continuato a cantare e a scrivere fuori dai ranghi, alzando sempre il tiro come un cecchino dissacrante.
Le canzoni graffianti e le riflessioni amare e ironiche di Rino Gaetano oggi sono denunce che hanno il sapore di una profezia che si è avverata.
Gagliani chiude il cerchio intorno ai grandi disincantati, raccontando la straordinaria esperienza di Rino Gaetano che con la sua arte ha saputo raccogliere l’eredità corsara e luterana di Pasolini e ha saputo ispirarsi alle eresie poetiche e teatrali di De Andrè e Gaber.
Impegno e disincanto è un viaggio straordinario in quel Novecento che ci manca. Un omaggio al disincanto, la migliore forma di ottimismo apparsa nella cultura.
Ma è anche un invito a rimettersi in viaggio insieme a quattro profeti italiani. Sono loro i veri eredi della tradizione linguistico – poetica del Novecento. Quattro disillusi straordinari il cui pensiero lungimirante e anticonformista è necessario a questo nostro Paese che sta affogando nel fango.