Uno dei più noti investitori di tutto il mondo, Warren Buffett, ha da tempo rivelato i suoi “segreti” per diventare ricco. Più che tecniche particolari, in realtà, se si vanno a vedere le sue dichiarazioni, si scopre che a guidare questo grande investitore è stato semplicemente il buon senso (e la pazienza). Ma esattamente quali sono le linee guida di questo mago della borsa? Essenzialmente sono due: mai investire tutto in una sola compagnia, ma diversificare al massimo il proprio portafoglio e mantenere il sangue freddo, investendo piccole somme con continuazione, senza farsi prendere dalla frenesia del vendere quando le azioni calano. Queste sue dichiarazioni, che sembrano scontate ma non lo sono, partono da un’osservazione economica che molti speculatori condividono e cioè che i mercati tendono sempre al rialzo nel lungo termine e quindi con un set di azioni variegato e piccoli investimenti continui, si possono accumulare delle fortune. Naturalmente si parla di anni e decenni, per permettere a piccole somme di maturare. Cosa ci azzecca questo discorso in un articolo di tecnologia, vi chiederete? Molto in realtà, perché il modo di pensare degli investitori di oggi è molto diverso. Il metodo di Warren Buffett infatti, incarna un’idea di capitalismo più sana di quella odierna, nella sua visione del mercato, le azioni da comprare sono un mezzo per dare soldi ad un’azienda promettente ( secondo i propri parametri ) che ingrandendosi, aumenta il suo capitale e ricompensa i suoi azionisti. Questo processo però richiede tempi lunghi e aziende solide che riescano ad essere vincenti nel marcato (quindi competitive e innovative). Con questo concetto, tutti possono avere dei vantaggi, gli azionisti guadagnano, le compagnie hanno i mezzi economici per espandersi e migliorarsi e le idee vincenti vengono premiate. Esiste un altro investitore famoso che, anche se anonimo, è salito alla cronaca dello scorso anno per essere divenuto ricco in un anno; di lui si sa solo che è giapponese, ex gamer e giocatore in borsa. Il metodo usato da questo ragazzo è completamente differente, infatti la sua tecnica di speculazione si basa sul trading on line veloce, che permette di sfruttare le oscillazioni giornaliere de mercato per ” comprare a poco e vendere a molto “. Questo tipo di speculazione economica, ( molto in usata oggi ) permette guadagni elevati in tempi brevi; in realtà però questo modo di operare in borsa non crea nuova ricchezza ma concentra semplicemente una parte del capitale circolante in un unico punto. Ovviamente vorremmo tutti arricchirci in tempi brevi, in modo da poter godere anche la nostra ricchezza, ma per una crescita armonica dell’economia reale, i tempi sono lunghi. Il fatto che il “metodo rapido”( fondamentalmente speculativo) per giocare in borsa si sia diffuso negli ultimi anni, grazie anche al trading on line e a società di investimento, ha avuto effetti molto negativi sullo sviluppo economico e tecnologico del pianeta, infatti le nuove aziende ( e sostanzialmente le nuove idee ) recuperano con grande difficoltà il capitale necessario per espandersi e sono facilmente assorbite dai grandi colossi che solitamente ne sfruttano l’idea senza creare vera innovazione. Con le startup si è cominciato a ribaltare il sistema ma è necessario un vero cambiamento ideologico sulla finanza moderna e le sue implicazioni nel mondo reale.
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L’Italia è strana. Stranissima. E con una particolarità. Vengono comprate case vista Colosseo, viene venduta una azienda, sempre all’insaputa di chi invece dovrebbe sapere e prendere le decisioni. Ovvio che non bisogna fare di ogni erba un fascio, e il rischio di essere qualunquisti è forte, ma sarebbe davvero importante avere l’onestà morale di prendersi le proprie responsabilità. Perché se sei il Presidente di Telecom e la tua società viene venduta a tua insaputa, ci sono due possibilità: o conti zero, e la tua carica è solamente “politica”, o stai mentendo.
Ecco, la questione Telecom è esemplificativa dell’andamento dell’Italia. Stiamo parlando della principale azienda di telecomunicazioni in Italia, alla cui guida si sono succeduti, come delle ciliegie, alcuni tra i principali capitani d’industria italiani: da Colaninno a Tronchetti Provera finendo per passare sotto il controllo di banche (Intesa San Paolo) e assicurazioni (Mediobanca e Generali). Insomma, finanza e industria. Oggi, nel 2013, Telecom viene venduta, all’insaputa del presidente Bernabè, alla spagnola Telefonica. L’Italia che vende alla Spagna. Non alla Germania, alla Spagna, un Paese che sta messo come noi.
Fosse solo Telecom. No, invece. Perché all’orizzonte c’è già una nuova cessione, quella di Alitalia, ad Air France. Altro che cordata italiana. I nostri capitani d’industria, a braccetto della finanza, stanno vendendo due marchi simboli di uno Stato: telecomunicazioni e compagnia aera. E’ l’ennesima conferma di una tendenza che sembra inarrestabile. Pernigotti, Loro Piana, Bulgari, Valentino, Gucci, Star, Parmalat, Roma e Inter. Ben vengano gli investitori in Italia, certo, ma quanto sta accadendo è sintomatico di una mancanza di liquidità e di coraggio da parte dei nostri capitani d’industria e di una finanza che pensa solo ai propri conti. Non riuscire a mantenere il possesso dei marchi storici è una sconfitta per tutto il sistema italiano. Forse, però, è meglio così.