Ci si mette poco più di un’ora a leggere “Il principe piccolo” di Paolo Zardi e tra le sensazioni che restano, quella più forte probabilmente, è che Zardi sappia scrivere in un modo che a molti scrittori sfugge. Non so, con lui non ho affrontato il discorso, ma mentre leggo quello che scrive ho l’impressione che il suo sia un flusso che sgorga quasi spontaneo, che lui debba solo sedersi e aspettare che le parole escano trovando la giusta strada e l’appropriata collocazione. In altri scrittori sento la sofferenza nel posizionare le parole una dopo l’altra, in lui no. Di solito io parteggio per quelli che fanno fatica, quelli che incespicano e ruzzolano a terra, Zardi però mi ispira una simpatia incodizionata e tutto quello che scrive mi sembra sia da leggere.
“Il principe piccolo” racconta la storia di tanti di noi. Un ufficio, un matrimonio, una casa tirata sua a Ikea e compromessi e poi, in quella che sembra una fotografia bella nitida scopri che c’è un particolare fuori fuoco. Inizialmente solo un pochino, ma poi l’occhio va a finire sempre lì e tu non riesci a vedere altro. Quel particolare è la moglie. Che ha una storia con un altro. Che non è disposta a non amare questo altro e che aspetterà.
Quello che succede in questo romanzo breve è quello che vorremmo che succedesse in casi come questi nella vita reale. Quei casi che a volte sfociano in crimini atroci.
Una delle caratteristiche che amo della scrittura di Zardi è la sua freschezza, il modo diretto con cui ti arriva. Inoltre, altra cosa del tutto personale, capita a volte che stai leggendo delle pagine in cui tutto sembra che stia andando liscio, tutto è come te lo aspetti, sta descrivendo un ufficio, una persona, un avvenimento e poi, tac, ci mette su una frase che vale il prezzo del libro. Qualcosa a cui non avevi mai pensato e ora che la vedi scritta ti chiedi perché non sia venuta in mente a te, qualcosa che racconta la realtà con una sottile patina di ironia che ti taglia le gambe.
Zardi fa un incursione in quella che viene definita grande editoria, anche se per ora lo fa solo attraverso la collana digitale Feltrinelli Zoom, viene da chiedersi se prima o poi il passaggio non diventi definitivo. Uno se lo chiede e in cuor suo spera di no, perché in fin dei conti quando stai dentro una famiglia che ti vuole bene e ti coccola non è poi tanto male. Quella famiglia è la Neo, quella famiglia è anche Intermezzi, quella famiglia è anche Las Vegas.
Paolo Zardi, nato a Padova nel 1970, ingegnere, sposato, due figli, ha esordito nel 2008 con un racconto nell’antologia Giovani cosmetici (Sartorio). Successivamente ha pubblicato le raccolte di racconti Antropometria (Neo Edizioni, 2010) e Il giorno che diventammo umani (Neo Edizioni, 2013), spingendo molti a definirlo il miglior scrittore italiano di racconti vivente. Suoi il romanzo La felicità esiste (Alet, 2012) e il romanzo breve Il Signor Bovary (Intermezzi, 2014). Ha partecipato a diverse raccolte di racconti (Caratteri Mobili, Piano B, Ratio et Revelatio, Hacca, Psiconline, Galaad, Neo Edizioni) e suoi racconti sono stati pubblicati su Primo Amore, Rivista Inutile e nella rivista Nuovi Argomenti. È il primo autore italiano ad essere stato tradotto e pubblicato dalla rivista Lunch Ticket dell’Università di Antioch (Los Angeles) con il racconto “Sei minuti” in Antropometria, con la traduzione di Matilde Colarossi. Cura il seguitissimo blog grafemi.wordpress.com.