I tre sedili deserti è il nome dell’inquietante palindromo con cui la casa editrice Il palindromo (proprio così) di Palermo ha chiamato la sua eccellente collana dedicata al fantastico, alla fantascienza, alle storie “de paura” e che finora ha dato spazio ad alcuni classici firmati da Arthur Machen, Abraham Merritt e William Hope Hodgson. Tutta roba di spessore, insomma, con un curriculum grosso così, a cui si aggiunge, sul versante saggistico, quest’opera di Jacques Bergier (famoso anche in Italia come coautore , insieme a Louis Pauwels, del leggendario Il mattino dei maghi), un succosissimo, divertentissimo, slurposissimo saggio (finora inedito in Italia) intitolato Elogio del fantastico e dedicato agli “scrittori magici”. Quegli autori di “realismo fantastico”, cioè, abbacinanti e indiscutibili, ciclopici, totemici, tonitruanti e totalizzanti. Per intederci, gente del calibro di Tolkien, Howard, il già citato Machen, il sommo e unico e inimitabile Stanislaw Lem, C. S. Lewis e altri ancora. Intendiamoci, siamo pieni di saggistica sulla letteratura fantastica e questo è un libro del 1970. Se cercate roba nuova non è in queste pagine che dovrete scavare. Ma se volete farvi venire la voglia di rileggere un classico, o se volete scoprire qualcosa di diverso dal solito, allora sì, questo volume molto ben curato da Andrea Scarabelli potrebbe essere un affarone che vi restituirà sotto forma di meraviglia, divertimento e sano stupore ogni centesimo che vi avrete speso.
Elogio del fantastico è infatti qualcosa di diverso da un saggio letterario, perché attraverso il racconto dei racconti di alcuni giganti del fantastico diventa racconto personale, confessione e viaggio allucinante all’interno della mente di Jacques Bergier. Così tanto che il capitolo più denso di sense of wonder, addirittura, è la postfazione con la nota biografica, nella quale possiamo ricostruire le mille vite dell’autore. Eroe della resistenza antinazista e poi prigioniero a Mauthausen, pioniere del brivido che per primo portò in francia le opere di Lovecraft, con cui aveva una corrispondenza durata fino alla morte del Maestro di Providence, dotato di super poteri a suo dire originati da pratiche yoga che gli permettevano di ignorare il dolore, Jacques Bergier era convinto che antiche civiltà super tecnologiche ci avessero preceduto sulla Terra e che una società segreta ne preservasse i segreti affinché l’uomo contemporaneo non si autodistruggesse. Ed è per questo che parlava di “realismo fantastico“. Fantascienza e fantasy per lui non erano un puro esercizio di fantasia, ma un’esplorazione in un altrove più reale del reale, perché “ci sono più cose in cielo e in terra, o scrittore realista, di quante tu ne possa sognare nella tua filosofia”.
Sembra quasi che Bergier ci parli non dal passato, ma da un’altra dimensione molto vicina e assai facile da imboccare, da questa Terra 2 in cui la magia funziona e puoi incontrare gli alieni al bar sotto casa. Basta chiudere gli occhi e seguire le sue parole per essere catapultati in questo altrove e credere a qualunque cosa esso contenga. Lo so, a questo punto molti voi staranno inarcando il sopracciglio di mister Spock, ma poiché come altri milioni di miliardi di baldi giovini della mia generazione anch’io ho letto Martyn Mistère, non avrei la minima intenzione di fare le pulci all’autore e alla sua (affascinante) visione dell’Intera Faccenda. Questo, se non fosse che il Nostro credeva nell’infinità dell’uomo e che non ci sarebbero stati limiti a quello che la nostra mente avrebbe scoperto. Un antropocentrismo esasperato dai risvolti potenzialmente grotteschi che, leggo con un certo sgomento, pur ammirandone il genio inconfutabile gli impediva (ma come?!) di digerire l’opera di Stanislaw Lem, lo scrittore magico per eccellenza, il più magico tra i magici che c’è. Vuoi perché Stanislaw Lem, infatti, indulge in una sfiducia nelle potenzialità dell’intelletto finito in un universo infinito e soverchiante; vuoi perché non si prendeva troppo sul serio e ci ha regalato molte pagine di fantascienza spiritosissima, ricca di giochi, frizzi e lazzi, tutto ciò evidentemente mandava ai matti Bergier (come pure, va detto, Gianfranco De Turris, che ha firmato la prefazione al volume, studioso la cui scienza non si discute, in verità, eccezion fatta per l’apprezzamento su Lem).
Ma la fantascienza è ricca di vita, di luci, di colori, è ricca come la biosfera e – si spera – l’universo. Quest’universo infinito che l’uomo non è detto riesca a decifrare, perché nonostante la serietà e il cipiglio di tutti gli iniziati, di tutti i maestri segreti e di tutti i sapienton-santoni esoterist-qualcosa, la realtà potrebbe continuare a sorridere dei nostri tentativi di cercarvi una chiave con il pensiero magico. Da una parte il cammino iniziatico e l’ultrascienza fumettosa evocati dall’ottimista a oltranza Bergier (e ci credo, non aveva visto i social network), dall’altra il riduzionismo con un cuore del pessimista a oltranza Stanislaw Lem (e ci credo, non aveva visto i social network), ma da questo contrasto emergono alcune scintille, i riflessi del mondo di ieri sul mondo di oggi, così pieno di accattonaggio metafisico e deliri mistici che si mischiano nella fogna vomitata ogni giorno nei nostri telefoni dal caos magico che sta sommergendo la vita intelligente sulla terra. E che ognuno tragga adesso le sue conclusioni e scelga da che parte stare, l’antica partita è appena cominciata.
Se vi piace la letteratura fantastica mi sa che non potete perdervi questo libro, ma se non avete mai puntato un centesimo su fantasy e fantascienza, oltre a esservi persi le più belle pagine della letteratura mondiale, forse vi siete persi qualcos’altro di estremamente importante, vecchio come il mondo ed eterno come il futuro.