Effetto domino di Romolo Bugaro è un romanzo, sorprendente. Certo, si potrebbe obbiettare che ‘sorprendente’ è una delle parole più abusate da recensori di ogni sorta, lasciatemi però il beneficio del dubbio, la possibilità di spiegare. E allora: precisiamo. Ad una prima lettura è come se Effetto domino si lasciasse alle spalle una quasi-indifferenza, come se si fosse letto senza essere stati in grado di catturare. La bellezza della scrittura, la sua precisione e la rimozione delle zone d’ombra dalla pagina lascia il lettore (io) un po’ intontito. Arrivati all’ultima pagina ci si dice: «bello, ma quindi?» Resta però il dubbio, la sensazione di avere qualcosa davanti agli occhi che tuttavia non si riesce a cogliere. Dato che questo stato d’animo permaneva, ad una certa distanza dalla lettura peraltro, ho deciso di rileggere. La sorpresa – eccola – è stata grandissima: le pagine da mute che erano state sono finalmente diventate parlanti. Insomma, scrivo sperando di convincervi a rileggere, nel caso in cui vi siate trovati nella mia condizione, oppure, se non l’avete ancora fatto, a darvi una mossa perché è il caso.
Bugaro in Effetto domino ci racconta una storia d’imprenditoria veneta (ma non solo). Furio Colombo e Franco Rampazzo, «tutti e due abituati ad accelerare infinitamente l’andatura in vista di un traguardo difficile da localizzare», riescono a mettere in piedi una gigantesca operazione edilizia, l’affare «più importante che avessero mai trattato», addirittura la costruzione di una «nuova città». È l’occasione per “fare il salto” passare dalla dimensione locale a quella nazionale, accelerare ancora. I due riescono a trovare i finanziamenti, i soci: nasce la Sidax, il cantiere apre. È a questo punto che le cose vanno male, non per decisioni sbagliate, incapacità, ma per giochi di potere di cui Rampazzo e Colombo non possono avere alcuna conoscenza, su cui non possono avere alcun controllo: una versione imprenditoriale del fato. Le conseguenze della crisi, l’effetto domino appunto, saranno tragiche e i tentativi di Rampazzo per salvare la Sidax apriranno davanti agli occhi dell’uomo l’abisso del fallimento.
Bugaro non sceglie di far ricorso ad una scrittura dell’io, oggi così diffusa, al contrario la sua è una narrazione “tradizionale”, da cui il giudizio sui personaggi e sulle loro azione viene intenzionalmente escluso, relegato ad alcuni punti in cui è l’ironia a farsene carico, senza però diventare mai moralismo. Anzi, forse l’ironia più che dissimulare il giudizio è il momento in cui le regole non scritte dei rapporti tra i personaggi-imprenditori mostrano il loro limite. In altre parole è il momento in cui l’incontro con l’altro non è più misurato solo sull’asse del potere. Tuttavia, finché se ne rimane all’interno, tutto, dagli abiti ai sorrisi, diventa strumento di guerra: «muoveva le lunghe gambe sotto il tavolo come alabarde, per spazzar via le gambe dei funzionari delle banche e imporre il proprio dominio». Il corpo viene impiegato consapevolmente, in un senso goffmaniano, per dare una rappresentazione di sé che sia vantaggiosa e che permetta di accelerare sempre di più. La velocità è infatti l’altro asse semantico su cui si muove la scrittura di Bugaro, e che possiamo accostare al primo come parte di una concezione della vita come impresa, come performance. Al capo opposto la bellezza e l’armonia impongono la loro presenza, ricordando però come essa sia l’irraggiungibile, null’altro che un lontano miraggio a cui Rampazzo guarda con desiderio ma con la consapevolezza che essi appartengono ad un mondo che non è il suo. La pace arriverà, amara, alla fine.
Romolo Bugaro (1962, Padova) ha pubblicato La buona e brava gente della nazione (Baldini e Castoldi 1998, finalista al Premio Campiello), a cui sono seguiti, per Rizzoli, i romanzi Il venditore di libri usati di fantascienza(2000), Dalla parte del fuoco (2003) e Il labirinto delle passioni perdute (2006, finalista al premio Campiello). Per Einaudi ha pubblicato Effetto domino (2015). (Fonte: http://www.einaudi.it/libri/autore/romolo-bugaro/0010748)