Mi stanno capitando, sempre più spesso, libri che “escono” dal premio Calvino. Quindi, da un lato mi convinco sempre di più che il Calvino sia uno dei pochi premi letterari ad avere ancora un senso (oltre che valore), dall’altro quando un libro ha le stigmate del Calvino mi rendo conto che automacamente divento più esigente. Più severo.
Poi però inizio a leggere le prime pagine di “Italia” di Fabio Massimo Franceschelli e mi rilasso subito. Perché capisco immediatamente che Franceschelli sa scrivere molto bene e perché quello che leggo, pur facendomi saltare di palo in frasca, so che mi porterà verso un punto ben preciso che è quello finale.
La struttura del libro sembra, come suggerito dalla copertura, mimare una spirale concetrica che lentamente ci porta verso l’apice dell’azione. Il libro procede a capitoli, capito che a volte vengono narrati da una singola persona, a volte diventano esplosioni corali. Mi era venuta l’idea, mentre leggevo, che il movimento di Franceschelli fosse quasi un movimento cinematografico. In seguito, leggendo in quale campo opera, ho capito che più che di cinematografia dobbiamo parlare di teatro. L’economicità dei movimenti, il loro incastrarsi alla perfezione, il passaggio da un personaggio all’altro e anche il vecchio adagio di Checov “se nella prima scena compare un fucile, ora della fine quel fucile deve sparare” rendono “Italia” qualcosa che ha più a che fare con il calore del teatro e non con la freddezza calcolata del cinema.
I personaggi sono tutti vivi. Anche quelle che chiameremmo comparse, agiscono in un modo totalmente plausibile. Non fungono da riempitivo. Sono esse stesse parte della grande azione.
Non so dire quale sia stato il mio personaggio preferito. Sabelli mi è sembrato vicino, forse perché neo padre. Bea ha l’intelligenza che vorrei avesse mio figlio. Giulio, Don Giulio, esprime tutte le mie perplessità in materia di fede. Strangio mi da lo stesso fastidio che mi danno tutti quelli che snobbano le proprie radici senza rendersi conto che sono un arricchimento culturale. Un’arma in più e non un difetto.
E poi ci sono quei due personaggi non umani. Da una parte la Cattedrale, simbolo del consumismo, ma anche di un paese allo sfascio. Elmento architettonico che rimanda ad un passato di fiducia, ma che nel panorama attuale sembra una presa in giro. Un luogo di culto pagano che non riesce a trattenere i propri adepti. Una tomba. Dall’altro lato i gabbiani. Una forza quasi divina, la natura che chiede vendetta e si riappropria del proprio terriorio, ma anche una realtà mafiosa che al primo sgarro fa saltare l’equilibrio.
Poi c’è Italia, quella vecchia rinsecchita, sola, con una lingua mista all’inglese che capisce solo lei. Ecco, Italia non la capisce più nessuno eppure è condannata ad andare avanti con la sua bella idea di paradiso ben salda nella testa.
E’ facile fare dei parallelismi tra l’opera concepita da Franceschelli e la situazione del nostro paese. Personaggi che trattano i lavoratori come fossero numeri e non vogliono sporcarsi le mani. Equilibri raggiunti patteggiando con l’illegalità. La fede che vacilla, nessuno che si sente responsabile. Nessuno che sa, che capisce.
In tutta onestà credo che per cogliere tutte le sfumature di questo libro si dovrebbe prendere residenza nella testa di Fabio Massimo Franceschelli. Non mi è possibile farlo, ovviamente, quindi mi devo limitare a rendere conto delle cose che mi sembra di aver colto e delle suggestioni che il libro mi ha dato leggendolo. E’ un libro che sono lieto di aver letto perché è un’opera di una certa complessità. Riesce a fare un’analisi sociale del nostro paese partendo da una pluralità di voci, partendo dal basso.
Ah, poi c’è giusto quel tocco di Hitchcock che non guasta mai.
10, 100, 1000 Del Vecchio Editore!
Aggiungiamo pure, tra le note positive, anche la copertina del famigerato Maurizio Ceccato e della sua Ifix Design.
Ecletticamente ha toccato vari generi letterari: dalla saggistica alla drammaturgia, alla critica e, ora, alla narrativa. Laureato in Storia delle Religioni, ha pubblicato saggi e articoli sui moderni sincretismi religiosi, con particolare attenzione ai culti afrobrasiliani. Per il teatro è autore di drammi, monologhi e commedie rappresentate in Italia e all’estero, oltre che regista e direttore di festival teatrali. È redattore della rivista di drammaturgia contemporanea «Perlascena». Il romanzo Italia, finalista alla XVIII edizione del PREMIO ITALOCALVINO, è il suo esordio in narrativa. Cura il blog ereticobencotto.com.